Rieti

Emergenza virus, così sopravvivono gli esercizi di prossimità

Con le chiusure imposte dalla diffusione del contagio, i negozi sono chiusi o sono tenuti ad osservare orari ridotti: anche le abitudini dei consumatori cambiano e magari saranno in parte sostituite dalle modalità di lavoro usate per far fronte al momento difficile anche dopo la crisi

Con le chiusure imposte dalla diffusione del contagio, i negozi sono chiusi o debbono osservare orari ridotti e anche le abitudini dei consumatori cambiano e magari saranno in parte sostituite dalle modalità di lavoro usate per far fronte al momento difficile anche dopo la crisi.

«Prendo le ordinazioni per telefono, preparo le porzioni e poi richiamo quando sono pronte, di modo che i clienti arrivino alla spicciolata, senza accalcarsi», dice il macellaio Roberto parlando attraverso la mascherina mentre affetta petti di pollo. «Adesso è così, non so come si farà in futuro, magari questa modalità di prenotazione in parte rimarrà».

In fila, ordinatamente

A qualche centinaia di metro di distanza, c’è uno storico alimentari reatino. La piccola coda di persone, ordinate, distanziate e composte, parla del più e del meno, ma si sa che l’argomento vuoi o non vuoi è sempre quello. Anziché scegliere la grande distribuzione, più affollata e complicata, si torna al piccolo esercizio commerciale, magari meno economico e con una scelta ridotta, ma più semplice, veloce e perché no, familiare. Mentre i genitori affettano il prosciutto e incartano mele, il figlio dei titolari inforca lo scooter e consegna la spesa casa per casa, portandosi il pos per il bancomat al seguito, «perché non tutti hanno i contanti a casa, e poi ci sarebbe il problema dei resti».

Tornare a conoscersi

È quasi ora di pranzo, e i pasti per gli esercenti vengono consegnati da un altro esercente, il proprietario di una trattoria che porta pasti a domicilio: «Sono trenta euro, ma non me li dare, mi ci prendo la spesa per casa». Prima magari neppure si conoscevano, e ora ci si parla come vecchi amici, consapevoli di essere tutti nella medesima situazione, piccoli anelli della grande catena del commercio che l’epidemia sta duramente mettendo alla prova. Pochi quelli che lavorano di più, tantissimi quelli che hanno dovuto abbassare le saracinesche, e si contano sulle dita di una mano quelli che riescono a riconvertire la propria attività.

Rispondere con creatività

È il caso del negozio di abbigliamento della famiglia Tosti, che ora nella propria sartoria produce mascherine protettive e le vende a prezzi popolari.
«Siamo chiusi da circa un mese ormai», dice invece il titolare di un negozio di articoli sportivi situato in un popoloso quartiere cittadino. «La situazione non è rosea, perché oltre alla chiusura e alle relative perdite di incassi c’è da sottolineare il fatto che poco prima dell’emergenza era arrivata tutta la merce della collezione primavera-estate, che è ferma e rischia di rimanere lì. In più ci sono le cose invernali che sarà difficile vendere, non è certo buono avere un magazzino pieno». Ma la disponibilità è tanta, ci si attrezza per fare consegne a domicilio, e si mandano le foto ai clienti per scegliere l’articolo di gradimento.

Il soccorso della rete

«Ora l’Ascom di Rieti ci ha messo a disposizione una piattaforma dove possiamo caricare le foto degli articoli e descrivere la nostra attività, di modo che i clienti possano acquistare online: lo facciamo tutti i giorni senza vincoli di orario. Ci auguriamo che con questo servizio si muova qualcosa».
Luca e la moglie, invece, gestiscono un negozio di elettronica e computer: non hanno mai smesso di lavorare, la loro è considerata un’attività essenziale. «Chiudiamo alle 19 come da decreto, ci siamo attrezzati con i distanziatori di plexiglas, con guanti e mascherine. Lavoriamo il triplo, siamo dei privilegiati rispetto ad altri commercianti. In questo periodo alcuni stanno acquistando dei computer, la maggior parte hanno bisogno di assistenza per lo smartworking, soprattutto aziende, studenti o insegnanti».

Un cambiamento che rischia di restare

Ci si chiede se questo modo di lavorare e studiare perdurerà anche dopo l’emergenza. «Potrebbe essere un’opportunità, anche per chi è affetto da disabilità o per altri motivi non può spostarsi da casa – risponde Luca – ma non siamo pronti per farlo, ci vorrà tempo, molti sono del tutto digiuni in quanto a nozioni tecnologiche».
Alessandro lavora per un grande fornitore di macchinette per il caffè automatiche, di quelle per gli uffici o le grandi attività. Anch’esso un servizio essenziale, come sostentamento per coloro che proseguono a lavorare. «Siamo in pochi, abbiamo ridotto i turni, alcuni sono in ferie, ma comunque proseguiamo. Riforniamo i supermercati, le aziende, gli ospedali, diamo ristoro a coloro che hanno bisogno di qualcosa da bere o da mettere sotto i denti durante il turno. Vedo ogni giorno la situazione che stanno vivendo i medici e gli infermieri o i cassieri, per noi lamentarsi sarebbe di cattivo gusto».
Permangono difficoltà oggettive per tantissime categorie di commercianti, soprattutto per coloro che non hanno possibilità di fare consegne a domicilio, per artigiani o fotografi, parrucchieri e centri estetici, boutique, bar, pasticcerie e tanti altri. Frattanto, nei piccoli paesi, l’organizzazione delle consegne dei prodotti direttamente a casa è ancor più fluida e capillare. Ci si conosce tutti, non serve dare neppure gli indirizzi. Il medico conosce il farmacista, ed entrambi conoscono il paziente, e i medicinali vengono portati agevolmente a domicilio, con i soldi già contati poggiati vicino al portone o al cancello: ci si conosce e ci si fida, specialmente in questo momento. Stessa procedura con i generi alimentari o di prima necessità, portati casa per casa dopo un’ordinazione telefonica. E non manca chi aggiunge qualche arancia, o una barretta di cioccolato, se si sa che in quella casa abitano bambini o anziani.
Non c’è contatto umano, non c’è il pettegolezzo mentre di indugia tra gli scaffali, ma c’è molto di più: l’organizzazione modulata in poco tempo, gli sguardi di intesa, la fiducia. Sopra la paura, oltre il timore di rialzarsi e di tirare di nuovo su la serranda della propria attività, c’è la solidarietà, soprattutto quella di quartiere. Si fa credito, ed è spontaneo e sentito. «A differenza della grandi città, in provincia ci si conosce. So chi viene a compare la carne da me», dice il macellaio. «So che persone sono, so che lavoro fanno e che in questo periodo sono fermi. Le fettine o gli hamburger per i bambini non glieli faccio pagare, io bene o male tiro avanti, loro no. Mi pagheranno, oppure no, non importa. Se ce la facciamo ce la facciamo solo uniti».