Egitto: il regime ibrido può scivolare in guerra civile

Sono tornate le manifestazioni di massa, ma soprattutto è esplosa la violenza. I sostenitori del deposto presidente Morsi continuano a occupare le piazze e l’esercito reagisce con maniere forti. Fra i 70 e i 100 morti in una sola notte sono molti, e fanno temere che la situazione possa precipitare.

Sono tornate le manifestazioni di massa in Egitto, ma soprattutto è esplosa la violenza. I sostenitori del deposto presidente Morsi continuano a occupare le piazze e l’esercito reagisce con le maniere forti. Fra i 70 e i 100 morti in una sola notte sono molti, e fanno temere che la situazione possa precipitare. L’Egitto è da anni un Paese percorso da profondi contrasti e divisioni sociali, ma al momento ci troviamo nella fase più pericolosa di questa transizione iniziata con la fine del regime di Mubarak.

Quando un mese fa Piazza Tahrir è tornata a riempirsi per chiedere le dimissioni di Morsi, decretando così una bruciante sconfitta politica per i Fratelli Musulmani, esisteva la possibilità che questi ultimi decidessero di mutare la propria natura di partito politico e movimento assistenziale islamico per prendere le armi. Ciò non è ancora successo, anche perché la controparte di un’eventuale mobilitazione armata sarebbero le forze armate egiziane, sicuramente le migliori di tutto il Medio Oriente, escluso Israele. Tuttavia, proprio le forze armate egiziane, che solo poche settimane fa si erano poste a garanzia della stabilità del Paese, stanno adesso contribuendo a far salire la tensione.

Con la nomina del presidente della Corte Costituzionale a Capo dello Stato e la formazione del nuovo governo, i protagonisti del colpo di stato vellutato si erano impegnati a non emarginare i Fratelli Musulmani e i milioni di egiziani che li sostengono, dalla vita politica del Paese. Adesso però il generale Al Sisi, Capo di stato maggiore e ministro della difesa, sembra deciso a usare la linea dura contro i sostenitori di Morsi. Con la volontà di perpetuare la strana saldatura fra manifestazioni popolari e autorità militari, Al Sisi ha chiesto agli egiziani che hanno voluto la cacciata di Morsi di scendere in piazza a sostegno del governo e delle forze armate. La popolazione ha risposto in massa, ma anche le manifestazioni a favore di Morsi sono state rilevanti, seppure espressione di una chiara minoranza. Questo tipo di comportamento sta aumentando la polarizzazione politica nel Paese e se la consistente minoranza dei Fratelli Musulmani si sentirà perseguitata e sistematicamente esclusa dal potere, potrebbe veramente scegliere la via della lotta armata.

I regimi ibridi, che cioè si situano a metà strada fra gli autoritarismi e le democrazie, magari perché al centro di un periodo di transizione, hanno notevoli probabilità di scivolare in una guerra civile perché ad una relativa possibilità di manifestazione del dissenso non corrispondono canali sufficientemente chiari e istituzionalizzati per trasformare tale dissenso in un cambio di politiche. D’altra parte, questi regimi mantengono la tendenza a un uso autoritario degli apparati di sicurezza, ma la loro capacità di controllo della società non è efficiente quanto nei regimi veramente autoritari. L’Egitto al momento si trova in questa delicata situazione. Per evitare il peggio servono trasparenza, rispetto dei diritti civili, un vero bilanciamento dei poteri dello Stato, la volontà e la capacità di non emarginare blocchi sociali e di potere importanti, coinvolgendo tutti gli attori rilevanti. Vista la difficile situazione economica egiziana, gli aiuti dall’estero giocano un ruolo cruciale per il Paese e potrebbero essere usati utilmente per fornire incentivi verso una più saggia gestione della transizione. Al momento invece Arabia Saudita e Qatar li stanno usando per sostenere le opposte fazioni e tentare di ridurre l’influenza americana, in un gioco geopolitico simile a quello giocato per tanti anni da Usa e Urss.