E se la rapisco e la sposo?

Il rapimento per costituire una coppia è stato un fatto storico non raro in altri tempi e nelle culture più diverse, sebbene oggigiorno sia quasi scomparso, almeno negli Stati più moderni.

La Chiesa ha sempre cercato di arginare il fenomeno del rapimento ritenendolo contrario alla dignità della persona e se la norma appare tuttora nella legislazione canonica è perchè il diritto canonico è universale e si rivolge anche ad altre culture nelle quali può ancora persistere tale eventualità.

L’impedimento in oggetto è disciplinato dal canone 1089 CIC e prevede che non possa essere valido il matrimonio celebrato tra il rapitore e la donna rapita, o trattenuta, allo scopo di contrarre il matrimonio, se non nel caso in cui la donna, liberata e posta in un luogo sicuro, decida spontaneamente di sposarsi. Venne introdotto durante il Concilio di Trento con il fine di tutelare la libertà della donna – che non si vuole costretta a contrarre un così grave negozio – insieme alla dignità dell’istituto matrimoniale contro un costume molto diffuso già nel Medioevo. Per la sussistenza dell’impedimento è necessario che sia rapita, o almeno sequestrata, una donna (questo impedimento appare discriminatorio nei confronti dell’uomo in quanto non sorge se il rapito è l’uomo da parte della donna) e che il rapitore abbia compiuto l’atto delittuoso allo scopo di contrarre con lei matrimonio; tutti gli altri scopi sono irrilevanti.

L’impedimento di crimine, invece, viene disciplinato dal canone 1090 e stabilisce che non può contrarre valido matrimonio colui che, al fine di sposarsi con una determinata persona, uccide il coniuge di questa o il proprio; ugualmente non possono contrarre matrimonio i coniugi che concorrono materialmente o moralmente all’uccisione del coniuge. Rilevano quindi l’omicidio del coniuge commesso da una sola persona e quello commesso da entrambi i nubenti. Nel primo caso l’omicidio deve essere consumato (non rileva il tentativo) con il fine specifico di contrarre matrimonio e l’uccisore deve essere cattolico. Nel secondo caso i nubenti devono cooperare in modo tale da provocare la morte del coniuge; anche qui l’omicidio deve essere consumato dai nubenti per essere rilevante ed è necessario che il fine del coniugicidio sia contrarre matrimonio tra loro; l’impedimento incombe su uno o entrambi i nubenti, a seconda che siano o meno cattolici. Il fine dell’impedimento è quello di prevenire gli scandali e salvaguardare la dignità dell’istituto, impedendo che esso sia il frutto di un delitto, come nel caso di ratto.

Sia il ratto che il crimine sono impedimenti di diritto ecclesiastico, quindi dispensabili; l’unica differenza sta nel fatto che il primo è dispensabile dall’Ordinario del luogo, mentre la dispensa per il secondo, per via della gravità della materia, è riservata alla sola Santa Sede.