D’Orazi (Fai): la Città diffusa? Metastasi sul territorio!

È stato un ricco discorso sul Paesaggio quello che l’architetto Piero D’Orazi ha proposto mercoledì 15 aprile durante il secondo di quattro incontri organizzati dal Fondo Ambiente Italiano e da «Frontiera» presso l’Auditorium dei Poveri. Un percorso partito dalla definizione stessa di Paesaggio: «il Territorio è dove stiamo, l’Ambiente è dove viviamo, il Paesaggio è come vediamo l’uno e l’altro».

Dunque quello Paesaggio è un problema di percezione, «non solo come visione di ciò che ci contorna – ha spiegato il relatore – ma anche filosoficamente, come “volto”. Il Paesaggio, spiegava Croce, è il “volto della nazione”».

Sia aiutandosi con immagini fotografiche, che attingendo al repertorio della grande pittura, D’Orazi ha quindi guidato i presenti dentro le tipologie e i “gradi” del Paesaggio, partendo da quello naturale per attraversare le diverse modalità con cui l’uomo ne modifica l’aspetto e la sostanza, fino ad arrivare alla negazione stessa del Paesaggio, alla sua completa scomparsa.

Esistono infatti situazioni limite – come nel caso di alcune zone fortemente industrializzate – in cui il rapporto tra la terra e l’azione umana si esaurisce, lasciando allo sguardo solo una continuità edilizia anonima e indifferenziata.

Un effetto non estraneo anche ad una certa espansione incontrollata delle città. Usando una immagine forte, l’architetto ha infatti paragonato la città “diffusa” sul territorio, con i suoi edifici sparsi in uno spazio non pianificato, al diffondersi delle metastasi tumorali in un corpo vivo. Una dolorosa serie di ferite spesso «irreversibili».

E proprio il fattore della difficile reversibilità, la consapevolezza di quanto sia improbabile l’eventuale ripristino, dovrebbero suggerire maggiore prudenza ogni qual volta si intende costruire. Non solo le case, ma anche i capannoni, le strade, le infrastrutture: il territorio non è infinito, ed ogni intervento andrebbe sempre pianificato. Soprattutto tenendo conto di chi verrà dopo di noi. «Perché la terra – ha sottolineato D’Orazi rifacendosi a Papa Francesco – ci è stata data in prestito dai nostri figli. Dobbiamo conservarla per poterla restituire alle nuove generazioni migliorata, non certo deteriorata, degradata, devatata».