Dopo l’alluvione fari spenti sul Modenese

Ci si chiede, soprattutto a Bastiglia e Bomporto (i centri più colpiti dall’esondazione del fiume Secchia), come sia possibile tanto silenzio della politica e dei media nazionali sulla situazione gravissima in cui versano comunità già duramente colpite dal terremoto. Non mancano le polemiche sulle responsabilità per la rottura dell’argine. Le voci dei parroci e della Caritas.

Alluvionati e dimenticati. Travolti dall’acqua e, a livello mediatico, da una politica impegnata in “beghe di palazzo” e da una cronaca sempre alla caccia del morto o degli scandali. A Bastiglia e Bomporto, i due paesi del Modenese colpiti poco più di una settimana fa da una valanga d’acqua fuoriuscita dal Secchia, la gente si sente “sola e abbandonata”. Non che qui siano tutti scampati alla furia delle acque: Giuseppe Oberdan Salvioli, quarantatré anni, è disperso fin dalle prime ore dell’alluvione che ha sconvolto Bastiglia, caduto dal gommone mentre andava a portare aiuto alle persone in difficoltà. Mentre, sulle cause della rottura dell’argine, la gente continua a non darsi pace e non accetta la versione ufficiale per la quale il cedimento è dipeso da cavità create dagli animali, dando invece la colpa all’Aipo, l’autorità pagata per curare la manutenzione degli argini ed evitare, appunto, che alla prima pioggia più intensa del solito l’acqua esondi.

Come in Sardegna.

Mentre migliaia di persone sono sfollate, vigili del fuoco, protezione civile e tanti volontari stanno ripulendo abitazioni, negozi e sotterranei, lottando contro l’inclemenza del tempo e, ora, pure contro la neve. A Bomporto, vicino alla chiesa già inagibile per il terremoto del 2012, la Caritas parrocchiale ha allestito un gazebo per distribuire indumenti a chi ne ha bisogno e tè caldo ai volontari impegnati nelle pulizie. “Qui c’è gente che ha perso tutto e si sente sola”, commenta Alberto Minoia, responsabile dell’Area emergenze nazionali di Caritas ambrosiana, che nei mesi scorsi era andato a Olbia per coordinare i soccorsi e ora ha portato lo stesso impegno in Emilia. La Caritas sta mettendo a disposizione idropulitrici, generatori di aria calda e deumidificatori – in parte utilizzati proprio in Sardegna – da prestare a famiglie e artigiani. Perché, dopo aver pulito i pavimenti e buttato gli arredi ormai rovinati, c’è da asciugare i muri: l’acqua ha raggiunto un metro e mezzo d’altezza e il segno del suo passaggio si vede distintamente. Ma, oltre all’aiuto concreto, “la gente ha bisogno di qualcuno che la ascolti”, continua Minoia.

“Nessuno parla di noi”.

Già, perché la solitudine, forse, fa più male dell’aver perso tutto. “La situazione è complicata”, ammette il parroco di Bomporto, don Francesco Bruni. Certo, “c’è solidarietà, gente che viene ad aiutarci anche dalle zone limitrofe, ma a livello nazionale c’è silenzio”. Per questo “la gente è arrabbiata”, gli fa eco una volontaria della Caritas, disperata perché l’asilo parrocchiale, inaugurato il 20 ottobre scorso dopo mille sacrifici, è ora inutilizzabile. “C’è bisogno di ripartire, e il sostegno – prosegue il parroco – serve per non scoraggiarci”. Sono 713 le famiglie che, dopo una settimana, hanno potuto fare ritorno nelle loro case, ma perlopiù solo per constatare i danni e rimboccarsi le maniche. Come a Bastiglia, comune di 4 mila abitanti stretto tra il Secchia e il Panaro, il primo a essere stato inondato. Per le strade è un susseguirsi di mucchi di materassi, letti, armadi e oggetti rovinati dall’acqua limacciosa penetrata dovunque. Non si tratta solo di pulire, ma bisogna disinfettare. “Quando siamo entrati c’erano pure i pesci”, raccontano alcuni volontari.

Dopo il terremoto, l’alluvione.

L’alluvione, per tanti, ha rinnovato il dramma vissuto neppure due anni fa con il terremoto. Ci sono aziende che avevano “delocalizzato” dalle zone del sisma per trovarsi, ora, di nuovo a constatare i danni provocati da eventi naturali. “Nella sfortuna ci è andata bene”, commenta Vico Bernardi, titolare, con il fratello Paolo, di una torneria con 6 dipendenti. Quattro giorni di fermo produttivo per ripulire il capannone e il materiale che era a terra buttato via: questo è il suo bilancio dell’alluvione. Se non fosse che l’azienda ha “delocalizzato” da Medolla, dove il capannone era venuto giù con il terremoto, e ora si trova invischiata nelle pastoie burocratiche per la ricostruzione. “Ci sentiamo abbandonati da tutti”, lamenta Vico che, se fosse stato avvertito il sabato del rischio esondazione, avrebbe messo al sicuro quantomeno il materiale. “Bastava avvisare la popolazione con un megafono”, ripete. La solitudine fa più male dell’acqua del Secchia.