Don Vincenzo Santori: un «santo» sacerdote da non dimenticare

Il 30 agosto dello scorso anno moriva mons. Vincenzo Santori. Penitenziere della Cattedrale e Presidente della coop. Massimo Rinaldi, editrice di «Frontiera», nei lunghi e fecondi anni della sua attività pastorale, don Vincenzo è stato padre spirituale attento e discreto, valido insegnante di Religione Cattolica, vice rettore del Seminario di Rieti, parroco di Antrodoco prima e di Regina Pacis a Rieti poi. A un anno dalla scomparsa pubblichiamo questo scritto di mons. Luigi Bardotti.

Scrivo altri miei ricordi di don Vincenzo: ho vissuto 22 anni con lui. Ad un anno di distanza dalla sua morte vorrei ancora scrivere qualcosa affinché, almeno viventi noi che lo abbiamo conosciuto, possiamo conservare un ricordo di gratitudine per questo Sacerdote, certamente modello per la Chiesa reatina.

Ho vissuto con un santo

Don Vincenzo non diventerà un Santo riconosciuto dalla Chiesa, ma io che ho vissuto con lui, accanto a lui, soprattutto oggi ho la sensazione di avere avuto la fortuna di vivere con un Sacerdote modello di ogni Sacerdote da cui ho imparato tanto. Oggi posso ricordare quanto forse allora non ho apprezzato fino in fondo.

Don Vincenzo, Sacerdote di grande preghiera

La sua giornata cominciava sempre alle 6,30; si viveva in comunità con Angela Pasqualoni e il bagno era unico: lui andava per primo, prendeva un po’ di caffè dal termos e poi scendeva in chiesa. Il suo posto fisso era l’inginocchiatoio davanti al Confessionale (che ora è stato tolto). Rimanva in ginocchio un po’ e poi, seduto, recitava il Breviario. Spesso rifletteva, tenendo gli occhi chiusi.

Don Vincenzo era un grande conoscitore della Liturgia. La Parrocchia di Regina Pacis venne avviata da Mons. Fulvio Bragoni; don Vincevo è stato l’artefice della nuova, grande chiesa. Ne ha curato nei minimi particolari tutta la sistemazione: Altare – Tabernacolo con le due lampade – Ambone – Battistero – Confessionali – portone – pavimento… nulla lasciava alla improvvisazione o al “mi piace”, ma tutto secondo le regole liturgiche. La Chiesa per lui doveva essere realtà fisica che portava a cogliere il Mistero e vivere la Comunità come comunione.

A mio parere aveva fatto bene ogni cosa. Anche se poi qualcosa si è cambiato. La celebrazione della S. Messa era un momento che viveva con totale partecipazione; a volte teneva gli occhi chiusi, assorto nel mistero; anche fisicamente era solenne e il suo incedere era sempre misurato perché nella Divina Liturgia anche il camminare –come i paramenti sacri – era per lui diverso dal… camminare «normale».

Personalmente lo osservavo e rimanevo catturato e rispettoso davanti a Lui mentre celebrava. Le sue Omelie erano sempre preparate per tempo. Mi diceva: «Già il lunedì dopo la Domenica bisogna cominciare a vedere, meditare la Parola di Dio della Domenica che verrà». Si scriveva sempre qualche appunto. Passava ogni giorno almeno due ore davanti al Confessionale: se richiesto, confessava con calma, attenzione e la gente andava molto da lui.

La Direzione spirituale

Per don Vincenzo un Parroco doveva stare in parrocchia ed essere trovabile sempre. Diceva a me: «Tu corri troppo. Anche per la tua salute fermati un po’. A volte vengono a cercarti, ma non ti trovano».

La sua era una presenza fisica e non tramite cellulare che non ne ha mai avuto. Nel suo studio teneva la porta aperta e dalla strada si vedeva che c’era; la gente entrava anche solo per un saluto. A volte era turbato per la gran quantità di persone che entravano per cercare denaro: una volta donò ad un povero il suo cappotto.

Dialogava con grande pazienza, attenzione ascoltando spesso persone con problemi o depresse. Quando saliva dopo questi colloqui aveva un sorrisetto stanco e diceva soltanto: «Quanti guai». La sua presenza in parrocchia poi era di andare spesso nelle famiglie e – in modo particolare – dove c’erano malati oppure qualche lite familiare.

Era un grande maestro di spirito: io stesso ne ho fatto esperienza quando ci separammo dopo aver lasciato Regina Pacis (1993)

Sacerdote saggio, prudente e coraggioso

Vivendo con lui ho potuto cogliere nelle parole e nei gesti tanta saggezza, prudenza e coraggio insieme. Era un prudente ma non un pauroso. Parlava poco e con parole misurate, ma ascoltava molto, in silenzio; nelle nostre riunioni tra Sacerdoti a volte c’erano discussioni forti: ascoltava, taceva ma poi la sua parola arrivava sempre cercando di conciliare, prendere i problemi con più calma e fede.

Era un archivio di almeno 50 anni di storia di questa Diocesi e Città. Qualcosa ci raccontava: i suoi ricordi del bombardamento di Rieti erano impressionanti: bene ha fatto «Frontiera» a farsi raccontare qualcosa prima della sua morte. Quanti ricordi di Antrodoco, del Seminario, della Azione Cattolica… raramente, ma ogni tanto qualcosa diceva ed erano ricordi di soddisfazioni, ma anche di amarezze.

E coi Sacerdoti e Vescovi: quanti ne ha conosciuti, amati, stimati. Mai e poi mai una valutazione pettegola o negativa, su nessuno ma di tutti diceva solo i lati positivi.

Alcune volte, dopo aver lasciato Regina Pacis, ho cercato di farlo parlare della Parrocchia:assolutamente non disse mai nulla e mi diceva: «Il capitolo della mia vita a Regina Pacis per me è chiuso» e non diede mai un giudizio né sulle persone né sui cambiamenti.

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Mi sono permesso di scrivere “qualcosa” su don Vincenzo perché ho sempre avuto la sensazione di aver vissuto con una santo che mi ha molto aiutato. E vorrei tanto che Sacerdoti così non siano dimenticati perché hanno dato la loro vita per la nostra Chiesa e la nostra gente.