Don Domenico a Vallececa: «il mistero della Trinità è la festa della relazione»

«Siamo chiamati all’incontro e non a starcene per proprio conto». È questa la lettura che il vescovo Domenico ha offerto della Santissima Trinità, festeggiata a Vallececa la scorsa domenica. Mons Pompili ha celebrato la prima delle messe previste per la giornata di festa nel bel santuario della frazione del comune di Pescorocchiano. Già nel primo mattino, infatti, un incontro gioioso di gente si è inoltrato nella natura delle stupende rive del Lago del Salto, fino a raggiungere la struttura fatta costruire a suo tempo dal vescovo di Rieti Ippolito Vicentini. Un edificio molto semplice, con le pareti in pietra a vista, il tetto a cuspide e la laterale torre campanaria, meta ogni anno di un sentito pellegrinaggio.

E proprio questo movimento è stato legato dal vescovo alla Santissima Trinità, provando a «balbettare qualcosa di questo mistero». Un tentativo condotto sull’idea che, nella misura in cui siamo immagine di Dio, qualcosa della Trinità, del suo essere insieme Padre, Figlio e Spirito Santo, deve riflettersi in noi. E questo qualcosa è la relazione, l’incontro, perché «Dio è sì unico, ma non solitario».

Un pensiero che in qualche modo contraddice la nostra idea di autosufficienza. Basti pensare, come ha sottolineato don Domenico, al fatto che ciascuno di noi, «prima di essere individuo, è il frutto di una relazione». Il modo stesso in cui veniamo al mondo ci dice che «il rapporto ci precede, che il “noi” di papà e di mamma viene prima del nostro “io”».

«Se lo tenessimo presente – ha spiegato il vescovo – cambierebbe il nostro modo di percepire la vita, perché vedremmo nell’incontro con l’altro non semplicemente come un problema, ma ciò che ci definisce come persone».

Questa la prospettiva che mons Pompili ha invitato a fare propria, non solo nel momento del pellegrinaggio, ma anche nella vita quotidiana. Un approccio che mostra tutta la sua forza anche guardando alle zone colpite dal terremoto, perché pure la ricostruzione non può essere la semplice somma degli interessi privati.

Impensabile immaginare il futuro come il frutto di tanti individui, uno contro l’altro contrapposti, presi dallo sforzo di tirare ciascuno l’acqua al suo mulino. Per questa strada si rischia che «la rabbia e la delusione» finiscano per «mettere gli uni contro gli altri» fino ad innescare «una sorta di lotta tra i poveri».

La ricostruzione, come ogni altra vicenda umana, si dà se «prima dei diritti si mettono i doveri di tutti». Una verità che rimane tale sempre, perché anche la più piccola delle comunità «funziona se non dimentichiamo che la relazione non è un pedaggio, ma la condizione per vivere».