Don Domenico: «Quel che unisce è molto di più di quello che divide»

«Tutti pensano a cambiare, ma nessuno pensa a cambiare se stesso»: è sintetizzato in questa intuizione di Lev Tolstoj il messaggio portato dal vescovo Domenico Pompili alle comunità di Amatrice la scorsa domenica 27 settembre.

Si tratta della richiesta di un cambio di prospettiva, lasciandosi guidare dal messaggio evangelico. A dare corpo al ragionamento, infatti, è stato il testo del Vangelo di Marco, in cui si ricorda il fastidio di Giovanni, fratello di Giacomo, di fronte ad un uomo che compie una sorta di esorcismo in nome di Gesù pur non appartenendo al gruppo ristretto degli amici di Gesù, «quasi che solo all’interno del cerchio magico dei 12 possa esserci la possibilità di fare il bene».

«Chi non è contro di noi è per noi» è la replica del Maestro: si oppone a «questa impostazione settaria e intransigente – spiega don Domenico – e lascia intendere che il bene da qualunque parte provenga è sempre bene. Con parole insuperabili Tommaso d’Aquino dirà: “Il bene, da qualunque parte proviene, viene sempre… dallo Spirito!”».

Ciò da cui dobbiamo guardarci è allora la «tendenza al settarismo: a distinguere noi dagli altri, cioè in pratica, i buoni dai cattivi». Si tratta di una visione «molto diffusa», ma «è sempre un errore dividere il mondo in bianchi e neri, in guelfi e ghibellini, in ‘noi’ e ‘loro’. C’è sempre una possibilità di intesa anche coi più lontani che resta fondata sul bene. Allora ci si sorprende a scoprire quanti e quali siano coloro che aiutano il mondo ad andare avanti, “danno da bere un bicchiere d’acqua” che riscatta la vita da quella sopraffazione, che come ci ricorda Giacomo, è la legge della giungla che da sempre domina il mondo».

«Quel che unisce è molto di più di quello che divide. Quando ce ne accorgeremo sarà sempre troppo tardi!» ha sottolineato don Domenico, senza nascondere le difficoltà di questo cambiamento di prospettiva. Un disincanto presente nello stesso Vangelo, quando, dopo l’invito all’apertura, il Gesù «riserva proprio ai suoi una stilettata che improvvisamente rende il suo linguaggio intransigente e duro. Fa riferimento alla mano, al piede e all’occhio per indicare membra del corpo di fondamentale importanza. Ma se compromettono l’adesione al bene e rischiano di produrre uno scandalo, non bisogna esitare perfino a darci un taglio».

«Nessun invito a mutilazioni fisiche – ha precisato il vescovo – ma solo la plastica conferma che ciò che vale può richiedere anche il sacrificio di una parte. Non si può vivere la fede senza essere disponibili a perdere qualcosa di rilevante. L’obiettivo non è certo di tagliare la mano, l’occhio, il piede, ma di convertirli».

«Questa parola così esigente vuol dire che non bisogna sempre dare la colpa agli altri, alla famiglia, alla società. Il male è dentro di te: è nel tuo occhio, nella tua mano, nel tuo cuore. Devi stanarlo dentro di te e allora ci vedrai, camminerai e donerai senza incertezze». L’invito del Vangelo è «a lottare contro se stessi, prima che contro gli altri. A non confondere il nemico esterno con quello interno che è più pernicioso. Ricevere lo Spirito vuol dire imparare a dare del tu a questi movimenti interiori perché un ragazzo non è solo quello che appare ma il suo mondo interiore, i desideri che coltiva, i sogni che cerca di preservare».

«“Non era dei nostri” – ha concluso don Domenico – è lo spirito settario da cui intende liberarci Gesù per allontanarci dal fanatismo e dalla violenza che oggi seminano tante divisioni. E la parola dura a tagliare ciò che è più caro è un invito a lavorare su di sé invece di scagliarsi contro tutti».