Don Domenico: «parassita è chi non ci mette mai del proprio»

«Nella vita bisogna tutti convertirsi, cioè cambiare. Anche rispetto ai problemi intervenuti sul territorio: di spopolamento e del lavoro che manca. Non si risolvono se non non ci decidiamo a cambiare. Se le cose cambiano, anche noi dobbiamo cambiare».

Lo ha detto il vescovo Domenico incontrando i fedeli nel cuore del Cicolano, durante la messa celebrata domenica 28 febbraio nella chiesa di San Paolo di Otholis a Collemaggiore.

«Noi adulti – ha aggiunto mons. Pompili – facciamo fatica a cambiare, vorremmo che le cose rimanessero sempre uguali. Quando nel corpo perdiamo l’agilità, anche nel cuore ci irrigidiamo. Vorremmo che tutto continuasse come sempre, ma le cose cambiano e noi non possiamo rimanere con le braccia conserte a imprecare contro la sorte nefasta».

E a tale proposito il vescovo ha ripreso il ragionamento dal Vangelo, con la parabola del fico sterile:

«Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno? Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest’anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime e vedremo se porterà frutto per l’avvenire; se no, lo taglierai»

«Se noi non portiamo frutti – ha spiegato don Domenico – diventiamo dei parassiti. Parassita non è uno che mangia con un altro, ma è uno che mangia a danno di un altro». E di parassiti ce ne sono in tutti campi: «Nel mondo del lavoro è parassita chi sfrutta le opportunità, ma non ci mette mai del proprio. Questo vale per gli imprenditori che arrivano quando i sono gli incentivi, e se ne vanno quando finiscono, ma vale pure per gli operai che alcune volte lavorano e altre non lavorano. Si è parassiti quando nel lavoro si cercano sicurezze ma non si è disposti a mettere in conto anche dei rischi».

Ma si può essere parassiti anche nella famiglia: «quando la vediamo come quell’angolo caldo in cui troviamo tutto ciò di cui abbiamo bisogno» a patto di non dover «sacrificare quote di libertà: allora no, allora cerchiamo la fuga, l’evasione».

Ma anche anche nella Chiesa esistono i parassiti: «sono quelli che dicono “si dovrebbe fare questo e quest’altro, organizzare qualcosa per i ragazzi, animare meglio la messa…” però non si vedono mai, loro vorrebbero che fossero sempre gli altri a darsi da fare».

Tanti atteggiamenti negativi, rispetto ai quali però non bisogna disperare: nella parabola, quando il padrone vuole tagliare l’albero interviene il fattore, che chiede un anno ancora per concimarlo e curarlo. «Questo tempo lungo è quello che ha Dio con noi» ha aggiunto il vescovo. «Dio ci dà sempre un’altra possibilità. È come un maestro che non sale in cattedra se non ha la speranza che l’allievo può migliorare».

Un’apertura di senso che invita ad alzare lo guardo, a pensare positivo, che mons. Pompili riassume con le parole di don Lorenzo Milani: «Ecco dunque l’unica cosa decente che ci resta da fare: stare in alto (cioè in grazia di Dio), mirare in alto (per noi e per gli altri) e sfottere crudelmente non chi è in basso ma chi mira basso. Rinceffargli ogni giorno la sua vuotezza, la sua miseria, la sua inutilità, la sua incoerenza».