Don Domenico: l’esperienza del limite è la condizione per aprirsi all’Altro

«Siamo come chi naviga in mezzo a scogli su fragile barchetta». Non poteva che partire da don Bosco il ragionamento svolto il 3 ottobre nella basilica romana del Sacro Cuore di Gesù da mons. Domenico Pompili, in occasione dell’ordinazione di presbiterale di don Paolo Paulucci, salesiano e nativo di Antrodoco. Parole che don Domenico ha sentito in sintonia con quelle dell’apostolo Paolo: «Quando sono debole, è allora che sono forte».

«La forza della barchetta sta proprio nella sua fragilità» ha spiegato il vescovo: «Il suo destino è legato alla sua capacità di abbandonarsi all’acqua del mare, evitando di infrangersi tra gli scogli. Questa misura minima del sé contrasta fortemente con la sbornia da autoaffermazione che la nostra mentalità di oggi diffonde a piene mani. Chiunque si percepisce come l’ombelico del mondo e pensa che tutto ruoti intorno a sé. Confessare di essere una fragile barchetta non dispone alla rinuncia e all’isolamento, ma predispone ad uno sguardo più realista che fa emergere la nostra unica possibilità e cioè la grazia invece della semplice necessità».

«Prima e a prescindere da quel che dobbiamo essere c’è la vita che ci precede e fortunatamente ci segue. A noi tocca di assecondarne il ritmo. Come un abile surfista che sfrutta i venti ed orienta con il suo corpo la direzione di marcia» ha aggiunto don Domenico, ricordando che «i talenti sono importanti, ma è altro ciò che spalanca l’orizzonte e spinge a non arenarsi nel mare quando è piatto come una tavola».

E «tristemente piatto senza sporgenze, immobile e, per di più, annoiato» è il modo in cui si presenta «il mondo di oggi». «Si intuisce che ci vorrebbe un colpo d’ala, che ci sarebbe bisogno di una folata di vento, di una energia improvvisa che gonfi le vele, ma poi a questa nostalgia non fa seguito che stanchezza e rassegnazione».

Uno stallo da cui può salvare proprio la «traversata sulla ‘fragile barchetta’», ma sapendo che «Dove c’è pericolo cresce anche ciò che salva» (F. Holderlin), che «Dio è un pericolo che ci fa uscire in mare aperto rispetto alle nostre certezze formattate e ci invita a riscoprire il limite come la condizione per aprirsi a Lui e agli altri».

Foto di Pasquale Chiuppi. Clicca qui per la galleria fotografica.