Don Amerigo, innamorato della sua Chiesa

Somigliava proprio a un marito di quelli “di una volta”, don Amerigo. Di quelli un tantinello gelosi e anche a volte un po’ petulanti, che sua moglie – che per lui era la Chiesa – la vuole fedele, sempre ben messa e ubbidiente. Non a lui, però, in questo caso, ma al vero “Sposo” del quale lui era semplice ministro. Perché la Chiesa, quella universale e nello specifico la sua Chiesa locale di Rieti, don Amerigo Maioli la desiderava davvero fedele a Cristo e indefettibilmente pronta a servirlo. Non mancava di richiamare con insistenza a questa fedeltà, talvolta in modi che potevano apparire anche intransigenti, ma senza perdere quell’affabilità e quell’ironia che poi, una volta tornato un po’ “bambino” dopo la malattia, hanno segnato la sua vita nell’ultimo ventennio.

Ha voluto richiamare questo profondo amore alla Chiesa monsignor Lorenzo Chiarinelli – che da vescovo “in pensione” è rientrato nel clero reatino da cui proviene – nel prendere la parola al termine della liturgia esequiale celebrata il 21 settembre in quella Cattedrale della quale don Amerigo era stato per tanti anni canonico. All’altare, diversi preti diocesani e religiosi concelebravano con il vescovo diocesano monsignor Lucarelli, che, dopo le letture della festa liturgica dell’evangelista Matteo, ha messo in collegamento lo zelo dell’ex pubblicano con l’esperienza vissuta da don Maioli come appassionato evangelizzatore ma anche come amministratore (per un periodo in Diocesi in curò, ha ricordato il vescovo, la gestione dei Beni vacanti).

E prima del rito finale del commiato, la commemorazione di Chiarinelli nel ricordare quanto don Amerigo abbia amato la Chiesa: «la volevi ordinata, sera, severa (forse anche con qualche forzatura), ma la volevi fedele e scuola di generosità», ha detto rivolgendosi allo scomparso sacerdote nativo di Belmonte, rievocandone i primi impegni pastorali nel Cicolano («a Corvaro, dove fiorirono fervide vocazioni; a Borgorose, spazio di rinnovamento pastorale») e poi in Curia, «con la intricata prassi amministrativa e, soprattutto, con la straordinaria stagione missionaria» che lo vide, per tanti anni, alla direzione dell’ufficio diocesano che promuove la solidarietà con le Chiese di missione e la sensibilizzazione all’ideale di annuncio ad gentes, nello stretto legame con i diocesani partiti come “fidei donum” e con i padri missionari di origine reatina.

Un ministero pastorale senza mai rallentare, quello di don Maioli (che per un periodo servì anche la comunità di Collebaccaro e negli anni Ottanta curò pure i festeggiamenti antoniani come cappellano della Pia Unione, presente al funerale con il suo stendardo). Poi, ha continuato don Lorenzo, arrivarono, con il delicato intervento alla testa del 1989, «gli anni della “prova”: una prova dura che si perde nel “mistero” di Dio, ben oltre le nostre umane categorie. Eri sempre stato un uomo coerente e un prete fedele: lo sei stato fino alla fine. Ma chi non sa che questi anni così duri sono stati animati dal dono d’amore di tua sorella Vincenzina, con gli altri familiari e con la compagnia affettuosa di don Vincenzo Santori?».

E ci ha tenuto a concludere, il vescovo emerito di Viterbo, con un ricordo personale: quello della giornata del rito di ordinazione che, il 29 giugno del ’56, vedeva prostrati sul presbiterio del Duomo otto giovani del seminario reatino, sei presbiteri tra cui c’era don Amerigo, e due suddiaconi che erano lui stesso, don Lorenzo, e don Mario Laureti. Dei sei preti consacrati quel giorno dal vescovo, restano ancora in vita soltanto don Loreto Ciccaglioni e don Lino Marcelli, gli altri sono «nella luce dell’eternità» assieme a don Amerigo che, da lassù pregherà per la comunità ecclesiale reatina, da lui servita con tanto amore, e per il suo presbiterio, tanto bisognoso di nuove forze.

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