Domenica II del tempo ordinario – Anno C (Gv 2,1-11)

Dalle nozze alle Nozze.

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui.

Dopo la lunga pausa natalizia, in cui siamo stati immersi nella contemplazione del Verbo fatto carne, riprende il tempo ordinario, per qualche settimana fino all’inizio della Quaresima.

Il Vangelo di questa domenica è quello delle nozze di Cana, forse uno dei tanti matrimoni a cui Gesù partecipava perché parente o amico degli sposi; c’era anche la madre, forse erano parenti, ma poco importa, le nozze sono la scusa per il quarto evangelista che intreccia una serie di temi teologici: le nozze, l’amore, il vino, la preghiera di intercessione della madre.

Succede una cosa che ai matrimoni non dovrebbe accadere: finisce il vino. Maria interviene e dice al figlio solo che è finito il vino e lui sembra rispondere che non ci può fare niente. Gesù, però, fa riempire sei anfore da 120 litri. Ci sarà voluto un bel po’ di tempo per riempire sei giare da 80/120 litri. Con più di seicento litri di vino ci si poteva ubriacare tutta la Palestina.

È chiaro il valore simbolico del gesto di Gesù e del racconto dell’evangelista. Il vino buono è abbondante ed è per tutti, è il vino del Regno, delle Nozze con la maiuscola.

In questo brano è dipinta la Chiesa, la comunità dei credenti, sposa dello Sposo, con accanto la Madre premurosa, che si inebria dell’Eucaristia, in vista delle Nozze messianiche, escatologiche.

L’architriclìnio, cioè il maestro di sala, per capirci il capo dei camerieri, osserva che il vino buono si serve per primo e l’acetella quando tutti si sono ubriacati; c’è sempre qualcuno che cade dalle nuvole e non riconosce colui che fa segni straordinari.

Da notare il concetto di “ora” da relazionare con quella della croce, non si tratta di kronos, tempo, ma di kairos, tempo di grazia, momento favorevole.

Gesù trasforma l’acqua che serviva per la purificazione dei Giudei, ad indicare che il tempo nuovo da lui inaugurato supera tutte le cose precedenti, completa e rinnova ogni cosa.

E noi che si dovrebbe fare?

Ubriacarci di quel vino nuovo, amare quello Sposo, riconoscere quei segni con i quali anche oggi il Maestro-Sposo ci invita alle Nozze.

Il cristianesimo è esperienza, anche nella ferialità della vita, anzi soprattutto nella ferialità della vita, di quella gioia messianica e festiva che dà la forza per cominciare a cambiare il corso delle cose.