I distretti industriali tornano a crescere: raggiunti i livelli esistenti prima della grande crisi

La classifica dei quindici distretti con i migliori risultati: prosecco di Conegliano-Valdobbiadene; occhialeria di Belluno; salumi di Parma; vini dei colli fiorentini e senesi; mozzarella di bufala campana; legno e arredamento dell’Alto Adige; conserve di Nocera; dolci e pasta veronesi; meccanica strumentale di Bergamo; gomma del Sebino bergamasco; materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova; macchine per la concia della pelle di Vigevano; marmo di Carrara; meccanica strumentale di Vicenza; termomeccanica scaligera

C’è un pezzo significativo dell’economia nazionale che è riuscita a recuperare i livelli esistenti all’inizio della grande crisi. È quello delle imprese attive nei distretti industriali. Un modello produttivo tipicamente italiano che vede operare in ambiti territoriali definiti un insieme di piccole, medie e talvolta anche grandi imprese, specializzate in un settore e integrate tra loro in una rete. È l’ottavo rapporto della direzione studi e ricerche di Intesa Sanpaolo a mettere in evidenza questo recupero, analizzando i bilanci di quasi 15mila imprese appartenenti a 149 distretti industriali e di circa 45mila imprese di aree non-distrettuali. Ebbene, nel periodo 2008-2014 lo scarto negativo nei distretti è di appena lo 0,5%, mentre le aree non distrettuali hanno perso quasi il 6%. Non solo. Nel 2015 il fatturato nei distretti ha superato quello del 2008 (+3,5%), nel biennio 2016-2017 la crescita è stimata intorno all’1,4% (ben oltre la media nazionale) e per il 2018 la tendenza dovrebbe ancora progredire.

A costo di risultare un po’ pedanti, vale la pena riportare la classifica dei quindici distretti con i migliori risultati, perché rende bene l’idea di questa realtà: prosecco di Conegliano-Valdobbiadene; occhialeria di Belluno; salumi di Parma; vini dei colli fiorentini e senesi; mozzarella di bufala campana; legno e arredamento dell’Alto Adige; conserve di Nocera; dolci e pasta veronesi; meccanica strumentale di Bergamo; gomma del Sebino bergamasco; materie plastiche di Treviso, Vicenza e Padova; macchine per la concia della pelle di Vigevano; marmo di Carrara; meccanica strumentale di Vicenza; termomeccanica scaligera.

Spicca la netta prevalenza del nord e del nord-est in particolare, com’è nella storia dei distretti, pur con un paio di significative presenze meridionali nel settore agroalimentare, che è quello che tira di più insieme alla meccanica. Un’indicazione da non sottovalutare per il nostro Paese.

Nell’insieme dei distretti, comunque, la ripresa è fortemente dipendente dalle esportazioni, che del resto sono anche all’origine della “ripresina” dell’economia italiana nel suo complesso. Nei distretti, però, la spinta dell’export ha letteralmente preso il volo: nel 2015 le esportazioni sono state pari a 94,6 miliardi di euro, oltre il doppio del 2009, il momento più difficile per le imprese delle aree distrettuali, che in quell’anno hanno subìto l’impatto della crisi al punto da far ipotizzare la fine dello stesso modello organizzativo. Invece, mentre si cominciava a teorizzare il loro superamento, i distretti hanno intrapreso la risalita, puntando sulla produttività e l’innovazione tecnologica. E i risultati si sono visti. Tanto che si registrano persino segnali di “ri-localizzazione”, cioè di produzioni che erano state portare all’estero e che ritornano sul territorio nazionale.

I distretti continuano quindi ad essere, anzi lo sono sempre più, una risorsa caratteristica e preziosa per il sistema Italia.

Il che non vuol dire che sia tutto rose e fiori anche nella loro realtà. Si è già detto della netta differenza tra il nord e le regioni meridionali, dove questo modello organizzativo – del resto strettamente collegato ai territori – non si è radicato strutturalmente. Ci sono poi settori produttivi in cui il recupero rispetto alla crisi non è ancora avvenuto, come nelle filiere dei metalli, dei mobili e degli elettrodomestici. Più in generale, il balzo in avanti è dovuto soprattutto alle medie imprese, mentre le piccole hanno ancora molte difficoltà. E poi ci sono distretti e distretti: il rapporto di Intesa Sanpaolo segnala infatti che è tornata a livelli di massimo storico la distanza tra i migliori e i peggiori, quindi i risultati totali così positivi sono la media tra distretti molto forti e innovati e distretti che arrancano.

Resta soprattutto da approfondire quale impatto queste dinamiche abbiano sull’occupazione. Nelle piccole imprese, a quanto risulta dal rapporto, i distretti non hanno determinato un valore aggiunto nel periodo 2008-2014. Nelle medie, all’interno dei distretti il numero degli addetti è cresciuto del 7,1%, contro il 6,5 delle imprese non distrettuali. Nelle grandi del 4,4% contro il 4,1. Sono dati molto modesti rispetto alla crescita dei fatturati. Il primo pensiero è che la spiegazione possa essere almeno in parte cercata nel rapporto problematico tra innovazione tecnologica (in cui i distretti sono all’avanguardia) e posti di lavoro. È una questione cruciale del nostro tempo.