Dal lavoro alla salute andata e ritorno

Nazzareno Iacopini

Il 16 marzo la Diocesi di Rieti promuove una giornata di studi e riflessione sui temi del diritto alla salute e del diritto al lavoro.

Per introdurre i lettori a questo grande evento, per il quale gli uffici pastorali della salute e dei problemi sociali hanno coinvolto anche le realtà civili della provincia di Rieti e del sindacato nazionale. «Mai come questa volta – ci ha detto il diacono Nazzareno Iacopini, direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale della Salute – la nostra Chiesa diocesana ha scelto di stare in prima linea per difendere i diritti delle persone. Il problema della salute e il problema del lavoro in questo momento particolare sono tra i problemi centrali della vita di tanti e come Chiesa non possiamo fare finta di niente. È anzi nostro preciso dovere dare un forte contributo alla discussione».

Ma perché tanta attenzione?

Perché intendiamo rispondere positivamente ad alcune domande: «esiste un diritto alla salute? Ed esiste un diritto al lavoro? Sono dimensioni reali, oggettive, ineludibili, o sono una invenzione della dottrina sociale della Chiesa?» L’input per avviare il convegno ci è venuto direttamente dalla gente. In tanti, in troppi, si rivolgono anche alla Diocesi in cerca di una risposta, sia per il lavoro che per la salute. Lo sperimento personalmente come direttore dell’Ufficio della Pastorale Sanitaria e lo stesso credo valga anche per don Valerio Schango sui temi dell’occupazione e dei diritti sociali. Una tale domanda di aiuto non nasce per caso. Occorre riconoscere che le difficoltà sono prodotte e motivate dal pensiero su cui si modella la realtà sociale. Le difficoltà non sono solo congiunturali, ma dipendono da una determinata impostazione sociale, che al punto in cui siamo è forse il caso di ridiscutere.

Allora perché parlare insieme di lavoro e salute?

Chiariamo subito una cosa: il diritto alla salute e quello al lavoro non sono due universi separati. Al contrario, spesso l’uno deriva dall’altro. Se non posso curarmi, come posso lavorare; e se non lavoro, come posso curarmi? È nella costruzione di questo equilibrio dinamico che dobbiamo concentrare la nostra riflessione e i nostri interventi. Per questo abbiamo voluto interpellare interlocutori di primo piano per questo convegno. Potremo ascoltare direttamente il prof. Rodolfo Gianani, direttore generale della AUSL di Rieti, e il segretario generale della UIL Luigi Angeletti. Questo, senza però dimenticare la voce del territorio, che proveremo ad includere tramite il vicesindaco di Rieti Emanuela Pariboni e i quattro segretari provinciali di CGIL, CISL, UIL e UGL.

Dall’osservatorio degli uffici pastorali, qual è il polso della vita quotidiana delle persone?

Viviamo un’epoca davvero difficile, specie se raffrontata allo stato di relativa sicurezza sociale che abbiamo sperimentato fino a pochi anni fa. Ora la situazione va velocemente precipitando. Lo si percepisce già nel piccolo mondo delle Caritas parrocchiali. Notiamo un continuo aumento di persone nel bisogno. Fino a tre anni fa la povertà aveva a che fare con situazioni fisiologiche, legate per esempio alla nuova immigrazione. Oggi lo scenario è del tutto cambiato: a rivolgersi alle strutture di sostegno sono soprattutto cittadini italiani, persone della nostra città. E vengono a chiedere tanto i viveri ed i vestiti quanto i medicinali e un aiuto per far fronte ai problemi della salute.

È la crisi economica che si fa sentire…

Che sullo sfondo di questo crescente disagio ci sia il progressivo impoverimento dell’offerta occupazionale non è un mistero per nessuno. Ma è la superficie del problema. Come Chiesa non possiamo evitare di approfondire le cause, di riflettere con attenzione e senza pregiudizi sulla società attuale.

Ma la Chiesa può dare risposte?

Credo di sì. Nonostante si cerchi da più parti di rendere poco credibile la nostra vocazione alla solidarietà, noi sentiamo di poter dimostrare di essere ancora una Chiesa pulita, fatta di popolo, attenta ai bisogni degli ultimi. Non ci faremo certo fermare da qualche lettera anonima o da qualche illazione. Intendiamo rimanere sul terreno di gioco e fare la nostra parte.

Intanto sul territorio prosegue lo smantellamento del sistema sanitario.

C’è un evidente momento di difficoltà, ma occorre anche saper distinguere. È vero che a causa dei problemi finanziari della Regione tanti servizi sono stati ingiustamente demoliti. I disagi sono senza dubbio aumentati, ma non per questo bisogna barricarsi dietro posizioni massimaliste, contro tutto e tutti. Preso atto della situazione critica, vanno anche riconosciute e difese le cose che stanno funzionando.

È più facile a dirsi…

È vero, ma dobbiamo ammettere che i bisogni sanitari sono in continua evoluzione, anche a causa dell’invecchiamento della popolazione. Quello per cui dobbiamo lavorare tutti insieme, dopo questo doloroso periodo di smantellamento, è la riconversione di ospedali come quello di Magliano in poli specializzati. Con la premessa di poche risorse a disposizione, bisogna per forza fare delle scelte. Occorre fare in modo che non si sovrappongono inutilmente servizi già alla portata della popolazione. Ci vuole un rinnovato sforzo di progettazione. Un buon esempio potrebbe darlo l’ospedale di Poggio Mirteto. È in corso una gara di appalto che dovrebbe condurlo ad essere un centro di eccellenza per la lungodegenza e la riabilitazione.

Ma oggi cosa manca nel nostro territorio?

La prima cosa che mi viene in mente sono le Rsa. Tante famiglie hanno in casa malati che hanno bisogno di cure particolari. Ma spesso si tratta di prestazioni che sarebbe improprio chiedere agli ospedali. Un maggiore investimento in questo genere di strutture poterebbe dare molto sollievo a persone e famiglie che oggi si trovano invece senza alcun tipo di aiuto, e per necessità finiscono con l’intasare le corsie dei nosocomi.

C’è chi teme lo smantellamento dell’ospedale provinciale…

Una chiusura vera e propria del De’ Lellis mi pare alquanto improbabile. Con la riconversione dei presidi di Magliano e Amatrice, l’ospedale provinciale è diventato un punto strategico per una fascia di popolazione molto ampia. Chiuderlo sarebbe una follia. Questo non vuol dire che non ci siano problemi o che si possa abbassare la guardia. Ma dobbiamo imparare una buona volta a vedere anche i pregi di quel che abbiamo. Pur con tutti i sui limiti, oggi il De’ Lellis è una garanzia di sicurezza sociale. Ci sono situazioni che richiedono interventi tempestivi per le quali abbiamo vere e proprie eccellenze. I reparti di Cardiologia e la Chirurgia d’Urgenza ad esempio, sono capaci di prestazioni davvero invidiabili. Un grande sforzo andrà fatto per migliorare ancora il Pronto Soccorso, oggi chiaramente sottodimensionato. Poi ci sono eccellenze diverse, che lavorano su cicli di cura lunghi come l’oncologia. In questo caso la rilevanza è legata soprattutto all’incidenza di questo genere di patologie rispetto al territorio.

Quindi il De’ Lellis si salverà…

Come Chiesa siamo impegnati in questa direzione. Pensiamo che l’Ospedale di Rieti non solo sia indispensabile, ma debba anche essere potenziato. È fondamentale, dicevano, per garantire un certo grado di sicurezza sociale ad una popolazione dispersa su un territorio piuttosto vasto.

È una situazione antieconomica, che inevitabilmente fa lievitare i costi.

In parte è vero, ma è vero anche che si può ancora ottimizzare molto. La scelta di usare come misura della spesa sanitaria il numero dei potenziali utenti, senza tenere conto delle specificità territoriali, non ha funzionato. Non si può comparare un quartiere di Roma alla provincia di Rieti. Numericamente la popolazione è la stessa, ma da noi è sparsa in un territorio ampio e decisamente scollegato. Si può spendere qualcosa in più per la Sanità se questo evita che in tanti siano costretti ad abbandonare le zone d’orgine. Lo spopolamento delle province è un fenomeno che abbiamo già visto e sappiamo quanto costa, anche in termini umani. E questo sarebbe proprio un tema da intrecciare a quello del lavoro.

Sull’evento del 16 marzo ti aspetti anche l’attenzione delle associazioni?

Assolutamente sì. Come Chiesa vogliamo camminare insieme a quante più persone possibili. Non ci facciamo problemi di dialogo, ma nemmeno ci facciamo mettere, per così dire, il cappello sopra. Per noi rimane centrale la promozione della persona come immagine di Dio. Non è una posizione difficile da accordare al forte bisogno di un nuovo umanesimo che si coglie nella società di oggi. Anzi, in questa direzione, la Chiesa può forse offrire un contributo significativo e utile a tanti. Partire da una posizione di fede non preclude ad un dialogo schietto e sincero, né al farsi avanti di soluzioni pratiche e di buon senso.