Cuba. Padre Cela SJ, «molte cose hanno iniziato a muoversi»

Dopo gli anni della rivoluzione e dell’ateismo militante, l’avvento al potere di Raúl Castro ha aperto “una nuova tappa” nei rapporti tra Chiesa e Stato a Cuba,

“attraverso i colloqui tra il Comandante e il cardinale Jaime Ortega, che hanno incluso il negoziato per la liberazione di 126 prigionieri, con implicazioni nel negoziato tra Stati Uniti e Cuba, che hanno portato al ristabilimento dei rapporti diplomatici tra i due Paesi”. Lo afferma da L’Avana il gesuita cubano padre Jorge Cela Carvajal, fino allo scorso anno presidente della Cpal, che, interpellato dal Sir, traccia un bilancio sulla lunga era Castro, che si è chiusa la scorsa settimana, quando il Governo è passato a Miguel Díaz Canel. Padre Cela spiega che il cambiamento nei rapporti tra Stato e Chiesa è stato lento e lungo: “Le cose cominciarono a cambiare con la pubblicazione del libro ‘Fidel e la religione’, nel quale il líder maximo veniva intervistato da Frei Betto”.

Secondo il gesuita, il dialogo che si instaurò tra Raúl e il cardinale Ortega “non ha solo cambiato la relazione con la Chiesa cattolica, ma si è mosso dentro ai processi di cambiamento nei quali entrò il Paese: l’apparizione di piccole imprese autonome; l’impulso dato alle cooperative; la riduzione del periodo di Governo a cinque anni rinnovabile una sola volta; cambiamenti nelle politiche sociali e di genere; il permesso di dare vita a forme educative complementari non statali; aperture di relazioni diplomatiche. Raúl Castro, nel momento di salire al potere, ha promesso una serie di riforme che in maggioranza ha mantenuto. Pensiamo alla legalizzazione delle piccole imprese e la separazione tra Partito e Governo. Per molti questi processi non sono sufficienti o comunque troppo lenti, però non c’è dubbio che negli ultimi anni molte cose hanno iniziato a muoversi a Cuba”. Tuttavia, dice padre Cela, “ci si aspetta di più. Pensiamo alla stanchezza per la promessa non mantenuta di una crescita economica che non arriva; il disincanto che si traduce in una tendenza all’esodo, ora contenuta più dalla difficoltà di trovare Paesi ospitanti che dal mancato permesso di lasciare il Paese. Tuttavia, ripeto, qualcosa si muove”.