Cristoph Schönborn, Ecclesia in Europa: la forza profetica di un’idea

A colloquio con il cardinale Cristoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza episcopale austriaca. «Il grande progetto europeo di pace non può avere successo se si basa esclusivamente sul pragmatismo», ammonisce. E occorre che la Chiesa guardi all’Europa «con la simpatia di chi non chiude gli occhi su quanto v’è di incoerente con il Vangelo, e allo stesso tempo apprezza ogni elemento positivo».

“Giovanni Paolo II, il 6 gennaio 2001, alla fine dell’anno giubilare, ci aveva consegnato uno slogan pieno di speranza: ‘Duc in altum’ per portare il messaggio liberante del Vangelo. ‘Ecclesia in Europa’ fu per così dire una ‘traduzione’ di questo programma per il continente europeo”. Così il cardinale Cristoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e presidente della Conferenza episcopale austriaca, in un’intervista sull’esortazione apostolica post-sinodale di Papa Wojtyla a dieci anni dalla pubblicazione.

Quando il 29 giugno 2003 è uscita “Ecclesia in Europa”, quale fu il suo primo pensiero leggendo le parole di Giovanni Paolo II?

“La Seconda Assemblea Speciale per l’Europa si è svolta nel mese di ottobre 1999. Eravamo immediatamente prima della fine del millennio, pieni di speranza per un nuovo inizio nella Chiesa. Non per nulla il tema del Sinodo Speciale era ‘Gesù Cristo – sorgente di speranza per l’Europa’. Quando ‘Ecclesia in Europa’ è stata pubblicata, avevamo già letto la Lettera Apostolica ‘Novo Millennio Ineunte’, in cui Giovanni Paolo II, il 6 gennaio 2001, alla fine dell’anno giubilare, ci aveva consegnato uno slogan pieno di speranza: ‘Duc in altum’ – fuori dalle sacrestie verso il mare aperto per portare il messaggio liberante del Vangelo agli uomini di oggi che si interrogano circa il significato e lo scopo della vita. ‘Ecclesia in Europa’ fu per così dire una ‘traduzione’ di questo programma per il continente europeo”.

Quali semi sparsi da Giovanni Paolo II con “Ecclesia in Europa” stanno oggi crescendo nel nostro continente?

“Giovanni Paolo II ha messo in luce molto chiaramente che l’unità dell’Europa ‘non può limitarsi al mero pragmatismo politico ed economico’. Dieci anni dopo, vediamo ancora più chiaramente la forza profetica di questa idea. Il grande progetto europeo di pace non può avere successo se si basa esclusivamente sul pragmatismo. Ce lo dimostrano le notizie quotidiane – ne sono consapevoli i cittadini e molti responsabili politici. Se l’Europa vuole vivere in pienezza la sua vocazione, se questo continente deve davvero essere una casa per tutti i sui popoli, allora è necessario riflettere sui valori fondamentali, rispetto ai quali il cristianesimo costituisce un contributo decisivo. Ci sono anche altri esempi, che derivano dal seme di ‘Ecclesia in Europa’. Penso, ad esempio, al n°49: ‘L’Europa reclama evangelizzatori credibili, nella cui vita in comunione con la croce e la risurrezione di Cristo risplenda la bellezza del Vangelo. Oggi più che mai è necessaria la coscienza missionaria in ogni cristiano’. In effetti, si può parlare di una riscoperta in Europa della dimensione missionaria della Chiesa”.

Quali sono invece i punti dell’esortazione apostolica che sono ancora da realizzare?

“Mi sembra estremamente significativo il nr.95: ‘L’invecchiamento e la diminuzione della popolazione a cui si assiste in diversi Paesi d’Europa non può non essere motivo di preoccupazione; il calo delle nascite, infatti, è sintomo di un rapporto non sereno con il proprio futuro; è chiara manifestazione di una mancanza di speranza, è segno di quella cultura della morte che attraversa l’odierna società’. E segnalo anche il nr. 50: ‘L’annuncio del Vangelo della speranza comporta, quindi, che si abbia a promuovere il passaggio da una fede sostenuta da consuetudine sociale, pur apprezzabile, a una fede più personale e adulta, illuminata e convinta. I cristiani sono, quindi, chiamati ad avere una fede che consenta loro di confrontarsi criticamente con l’attuale cultura…; incidere efficacemente sugli ambiti culturali, economici, sociali e politici; di manifestare che la comunione tra i membri della Chiesa cattolica e con gli altri cristiani è più forte di ogni legame etnico; di trasmettere con gioia la fede alle nuove generazioni’. Qui resta ancora molto da fare”.

Oggi, parlare di speranza nel contesto europeo è ancora più urgente, ma anche più difficile. Come ridare speranza agli europei?

“Una risposta può venire dal nr.104: ‘L’appello a vivere la carità operosa, rivolto dai Padri sinodali a tutti i cristiani del Continente europeo, rappresenta la sintesi felice di un autentico servizio al Vangelo della speranza’. ‘Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli europei di oggi, soprattutto dei poveri e dei sofferenti’, siano anche le ‘gioie e le speranze, le tristezze e le angosce della Chiesa in Europa’. Tutto ciò ‘che è genuinamente umano’ trovi eco nel cuore della Chiesa. Essa guardi all’Europa e al suo cammino con la simpatia di chi non chiude gli occhi su quanto v’è di incoerente con il Vangelo, e allo stesso tempo apprezza ogni elemento positivo”.