Cristiani ed Europa: esserci, da protagonisti

Il magistero ecclesiale invita i cristiani a costruire l’unità del continente.

Moving Europe beyond the crisis, Sortir l’Europe de la crise, Europa aus der Krise führen, Wyjście Europy z kryzysu, Sacar a Europa de la crisis. In qualunque lingua lo si esprima, l’impegno che l’Ue sta attraversando in questa fase è chiaro: bisogna “condurre l’Europa oltre la crisi”, restituendo una prospettiva di futuro e di speranza ai 500 milioni di cittadini colpiti oltre misura dagli effetti di una recessione lunga e pesante. E le grandi comunità religiose presenti nel vecchio continente – per storia e tradizione il cristianesimo anzitutto, con l’islam, l’ebraismo, l’induismo e altre espressioni di fede – fanno propria questa stessa responsabilità. Lo hanno ribadito i leader religiosi durante l’incontro con le istituzioni dell’Unione europea svoltosi il 30 maggio a Bruxelles, appuntamento annuale regolato dall’articolo 17 del Trattato di Lisbona, che aveva al centro dell’attenzione il ruolo dei cittadini nell’integrazione comunitaria.

Le comunità religiose, rappresentate da vescovi, rabbini, imam, guide spirituali, hanno confermato piena fiducia nel progetto europeo (nonostante taluni limiti evidenti che vi si riscontrano), ritenuto in grado di “costruire ponti” tra i popoli e gli Stati, di aprire ogni nazione a una “dimensione solidale” nelle relazioni internazionali, di ergersi a difesa dei diritti fondamentali delle persone, senza però trascurare le diversità che attraversano l’Europa stessa da nord a sud, da est a ovest.

Le chiese hanno ribadito la loro eminente vocazione spirituale ed etica – così necessaria in un’Europa in debito di fiducia e di valori -, rimarcando al contempo la loro volontà, persino il “dovere” di essere presenza attiva nello spazio pubblico, portandovi quei principi forti che derivano da una visione “alta” dell’essere umano, che vive nella contemporaneità ed è ugualmente aperto al trascendente. Principi che si riferiscono, fra l’altro, al rispetto della vita, al sostegno alla famiglia, alla promozione della solidarietà e della pace, alla tutela dei più poveri e degli ultimi.

Le comunità credenti sanno interpretare non solo le esigenze materiali delle persone e della società (cui cercano di rispondere, per quanto possibile, con riconosciute e stimate iniziative in campo educativo, caritativo, sociale, assistenziale…), ma anche quelle che toccano la mente e il cuore delle donne e degli uomini di oggi. È quanto hanno riconosciuto i capi delle istituzioni politiche, tendendo la mano alle chiese europee e domandando – nel rispetto delle reciproche sfere e competenze – un aiuto forte, convinto, qualificato, per la realizzazione del bene comune.

In tal senso questi appuntamenti annuali si rivelano costruttivi e attesi da ambo le parti. È altrettanto importante che il dialogo aperto, trasparente e strutturato tra Ue e chiese non si limiti a un meeting ogni dodici mesi, bensì si realizzi mediante la costruzione di canali di ascolto e di collaborazione attivi 365 giorni l’anno.

Era questa, del resto, l’idea di partecipazione dei credenti all’edificazione della “casa comune” che trasmetteva, giusto dieci anni or sono, Papa Giovanni Paolo II con l’esortazione apostolica “Ecclesia in Europa”. Sulla stessa linea ritroviamo l’intero magistero ecclesiale a proposito di integrazione continentale, a partire dagli interventi di Pio XII, passando per i suoi successori, fino a Papa Francesco. Il quale proprio di recente, incontrando dapprima una rappresentanza del Ccee (Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa) e poi quella della Comece (Commissione degli episcopati della Comunità europea) incoraggiava i cristiani a farsi carico del percorso verso l’unità europea. Un impegno e una missione irrinunciabili per “dare un’anima” all’Europa.