No a “cristiani annacquati”

Cosa vuol dire essere discepoli di Cristo? È la domanda di fondo delle letture della domenica, a partire dal grido di Geremia – “quando parlo, devo gridare, devo urlare: violenza, oppressione – perché la parola di Dio è contro l’ingiustizia, la violenza, l’oppressione”; una parola, per il profeta, che causa in lui “vergogna” e “scherno tutto il giorno”. Ma dalla quale non può allontanarsi. Paolo scrive ai romani: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente”.

Abbiamo così già due strade: il “no” a ingiustizia, violenza, oppressione; e l’invito a non conformarsi alla mentalità del mondo. Chi vuole seguire Gesù percorre un cammino che passa attraverso l’esperienza del rifiuto, della contraddizione: “Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Rinnegare è dire no all’egoismo che ci fa ragionare con il metro della convenienza e non con quello dell’affidamento totale. È il messaggio che ci viene, ad esempio, dai martiri, ricordava Francesco nel recente viaggio in Corea: spesso sperimentiamo “che la nostra fede viene messa alla prova dal mondo, e in moltissimi modi ci viene chiesto di scendere a compromessi sulla fede, di diluire le esigenze radicali del Vangelo e conformarci allo spirito del tempo”. Proprio in Corea un amico mi confidava di aver detto al Papa: chissà se avrei il coraggio di non calpestare il crocifisso come hanno fatto questi martiri coreani. Essi, dice Francesco a Seoul, “ci provocano a domandarci se vi sia qualcosa per cui saremmo disposti a morire”.

“In effetti, noi cristiani viviamo nel mondo, pienamente inseriti nella realtà sociale e culturale del nostro tempo, ed è giusto così; ma questo comporta il rischio che diventiamo ‘mondani’, il rischio che ‘il sale perda il sapore’, come direbbe Gesù”, afferma all’Angelus il Papa. Il rischio cioè di essere “cristiani annacquati” – cristiani “di pasticceria”, belle torte, disse il 4 ottobre 2013 ad Assisi – un cristiano che ha perso “la carica di novità che gli viene dal Signore e dallo Spirito Santo. Invece dovrebbe essere il contrario: quando nei cristiani rimane viva la forza del Vangelo, essa può trasformare ‘i criteri di giudizio, i valori determinanti, i punti d’interesse, le linee di pensiero, le fonti ispiratrici e i modelli di vita’”.

Seguire Gesù significa, dunque, avere la capacità di un cambiamento, una conversione di prospettive. In Matteo leggiamo le parole di Gesù sulla sua sofferenza, morte e resurrezione a Gerusalemme e la risposta di Pietro: “Questo non ti accadrà mai”. Ecco il contrasto tra Gesù, che si affida totalmente al Padre, e Pietro – “senza accorgersene fa la parte di satana, il tentatore”, dice Francesco – che risponde secondo la logica degli uomini; per lui è impensabile che Cristo possa fare una fine così ignobile.

La prospettiva del Signore non coniuga verbi quali perdere, rinunciare, ma salvare, trovare, vivere. Papa Francesco, all’Angelus, ripete il suo no a “cristiani annacquati, che sembrano vino allungato, e non si sa se sono cristiani o mondani, come il vino allungato non si sa se è vino o acqua”. È triste, dice il Papa, trovare cristiani “che non sono più il sale della terra”, che hanno perso il sapore del sale e “si sono consegnati allo spirito del mondo, cioè sono diventati mondani”. Rinnovarsi, dunque, attingendo linfa dal Vangelo; di qui l’invito, che ripete, a “portare sempre il Vangelo con voi: un piccolo Vangelo, in tasca, nella borsa, e leggerne durante il giorno un passo”. Vangelo, eucaristia e preghiera sono doni del Signore per “conformarci non al mondo ma a Cristo”. E seguirlo perdendo la propria vita, per ritrovarla. Perderla, afferma Francesco, nel senso di donarla, “offrirla per amore e nell’amore”, per riceverla “nuovamente purificata, liberata dall’egoismo e dall’ipoteca della morte, piena di eternità”. Come hanno fatto i martiri, ieri, ma anche oggi, in molte parti del mondo. La via di Dio non è di potere, ma di debolezza – lo scandalo della croce – una via che sceglie la povertà dell’uomo, il suo fallimento, la sua umiliazione, per trasformarli in luogo di vita, per redimerli attraverso la compassione, il perdono.