Crisi della politica: se non ora, quando?

I cittadini chiedono responsabilità, ma per ora non si intravedono vie d’uscita. C’è da augurarsi che la serie interminabile di “no” urlati nelle piazze e sibilati nei microfoni, ad uso e consumo delle avverse tifoserie, lascino presto il posto a qualche piccolo ma infinitamente significativo “sì”. Che consenta a tutte le parti in causa di dare il meglio di sé.

Se non ora, quando? Questa è la domanda più esigente che ogni italiano si pone, dinanzi alle responsabilità che gravano sulle spalle di quanti possono e devono trovare uno sbocco alla crisi politica in cui versa il Paese.

Se non ora, quando le classi dirigenti saranno chiamate ad esercitare il più alto tasso di responsabilità personale per garantire un governo al Paese?

Se non ora, quando i leader politici saranno chiamati a cercare tutte le strade percorribili per garantire il bene comune, ovvero di tutti e di ciascuno? Se non ora, quando saranno chiamati ad accantonare le rivalità, gli interessi della propria parte, i desideri di rivincita e di vendetta, la volontà di sopraffare l’avversario politico considerato più un nemico da abbattere che un contendente da legittimare? Se non ora, quando sapranno mettere mano alle riforme che tutti considerano indifferibili? Se non ora, quando anteporranno il bene di tutti noi e soprattutto dei poveri e dei più deboli, agli interessi dei ricchi, dei potenti e dei garantiti?

Se non ora, quando tutti i parlamentari si riprenderanno la libertà intellettuale e di coscienza per dare al Paese un dibattito pubblico privo di falsità ideologiche, di interessate ricostruzioni di parte, di false interpretazioni del reale? Se non ora, quando sposeranno l’amore per la verità dell’uomo e sull’uomo? Se non ora, quando eserciteranno il dovere di rappresentarci sino in fondo e, quindi, dichiarare la volontà di collaborare per il bene del Paese?

Se non ora, quando i mezzi di comunicazione la smetteranno di parteggiare e di seminare divisione, preparando il terreno allo scontro sociale senza curarsi dell’assoluta necessità di costruire ponti fra i gruppi sociali perché la coesione è un bene supremo?

Dispiace dirlo, ma ancora in questi difficili frangenti, non vediamo nulla di tutto questo. Sembra quasi che il germe della divisione, anche la più subdola, insinuante e violenta, debba prendere il sopravvento da un momento all’altro. Per fortuna c’è chi, in queste ore, non sposa né gli umori della piazza né le fumisterie di improbabili quanto avventurosi equilibri più avanzati. E poi resiste al tentativo di farsi risucchiare nella rissa di tutti contro tutti e soprattutto conserva la mente fredda. Che lo spinge a dire, da vecchio saggio qual è, che “abbiamo bisogno di unità, ma anche di pensare adesso all’interesse generale del Paese e di dare continuità alle nostre istituzioni democratiche”. Quel vecchio signore si chiama Giorgio Napolitano, abita al Quirinale ancora per pochi giorni, e a lui tocca conservare la lucidità necessaria a garantirci tutti.

Noi possiamo solo augurarci che la serie interminabile di “no” urlati nelle piazze e sibilati nei microfoni, a uso e consumo delle avverse tifoserie, lascino presto il posto a qualche piccolo ma infinitamente significativo “sì”. Che consenta a tutte le parti in causa di dare il meglio di sé.

È preoccupante, infine, che il capo dello Stato debba evocare la necessità di “dare continuità alle nostre istituzioni democratiche”. Forse lui avverte dei pericoli che noi non stiamo percependo a dovere? Forse che l’espandersi a macchia d’olio della povertà e il conseguente malessere che erode la coesione sociale stanno minando alla base la nostra democrazia? Tante volte ci siamo detti che la nostra democrazia è giovane e le sue basi deboli. La ricerca del potere a ogni costo e l’effimero successo di pochi non possono, e non devono, determinare la rovina di tutti. Non procurateci uno choc democratico.