Il credente e il potere

“A Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio”

Una moneta, un sottile inganno, una risposta spiazzante. Sono i tre elementi che Matteo ci fa conoscere nella pagina del Vangelo di questa domenica. La moneta è il “census” coniata appositamente da Roma per il tributo dovuto all’impero dal popolo della Giudea, esclusi anziani e bambini. Aveva il valore di una giornata di lavoro ed era uno dei segni più odiosi per far sentire il peso della schiavitù. Il sottile inganno è messo in atto dai filistei e dagli erodiani, popolazione a sud del Mar Morto sotto la Giudea, che si uniscono al solo scopo di eliminare l’avversario, in questo caso Gesù. La domanda è di difficile risposta perché sottende un tranello: sulla moneta è raffigurata l’immagine di Cesare e il comandamento proibiva di fare immagini di qualsiasi persona. E alla domanda, se sia lecito o meno pagare il tributo a Cesare, una risposta positiva poteva costare l’accusa di idolatria; una negativa, l’accusa di essere un sobillatore politico.

In primo luogo Gesù chiede la moneta: lui non ha soldi in tasca, farisei e erodiani si. Indiretta critica ai suoi interlocutori che tirano in campo problemi di coscienza nella misura in cui questi toccano i loro beni, i soldi. Poi risponde: rendete a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio. Risposta spiazzante, dunque. Ma anche il verbo usato – rendere – non è meno impegnativo, perché presuppone un restituire qualcosa avuto in dono. Come dire, pagare il proprio tributo, oggi diremmo le tasse, è un dovere al quale non è lecito venire meno, perché è un restituire un servizio di cui abbiamo goduto. Il messaggio che ci viene dalle parole di Gesù è un distinguere il campo della politica da quello del sacro, del divino: non una separazione netta, ma nemmeno un farli coincidere, perché se è vero che la politica può essere vissuta come servizio a Dio, questa non coincide con il Regno di Dio. Tornano alla mente le parole pronunciate dal Benedetto XVI nel Westminster Hall di Londra il 17 settembre del 2010, quando, riflettendo sul fondamento etico per le scelte politiche, sottolineava il ruolo correttivo della religione nei confronti della ragione, sostenendo che “senza il correttivo fornito dalla religione, infatti, anche la ragione può cadere preda di distorsioni, come avviene quando essa è manipolata dall’ideologia, o applicata in un modo parziale, che non tiene conto pienamente della dignità della persona umana”. Per questo, il mondo della ragione e il mondo della fede “hanno bisogno l’uno dell’altro e non dovrebbero avere timore di entrare in un profondo e continuo dialogo, per il bene della nostra civiltà”. La religione, per i legislatori, “non è un problema da risolvere, ma “fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico nella nazione”.

Nel giorno della beatificazione di Paolo VI, Papa Francesco ricorda, nell’omelia, che la risposta di Gesù è un “riconoscere e professare – di fronte a qualunque tipo di potere – che Dio solo è il Signore dell’uomo, e non c’è alcun altro. Questa è la novità perenne da riscoprire ogni giorno, vincendo il timore che spesso proviamo di fronte alle sorprese di Dio”. Quanta sintonia con Papa Montini, che, nella “Evangelii nuntiandi”, dell’8 dicembre 1975, ricordava il legame “necessario” tra evangelizzazione e promozione umana, e affermava: “Ogni liberazione temporale, ogni liberazione politica” anche se si sforza di trovare la propria giustificazione nell’Antico o nel Nuovo Testamento, “porta in se stessa il germe della propria negazione e decade dall’ideale che si propone sia perché i suoi motivi non sono quelli della giustizia nella carità, sia perché lo slancio che la trascina non ha una dimensione veramente spirituale e perché il suo scopo finale non è la salvezza e la beatitudine di Dio”. In quel “restituire” di Gesù sono messe in evidenza la nostra libertà e responsabilità. È “importante e urgente” ricordava Paolo VI, edificare strutture più umane, giuste e rispettose dei diritti della persona; ma è anche vero che “le migliori strutture, i sistemi meglio idealizzati, diventano presto inumani” se manca “una conversione del cuore e della mente di coloro che vivono in queste strutture o le dominano”.