Il corpo fatto vetrina

Ci teniamo ad apparire. Non è una novità, ma in una società dell’immagine, dove circolano foto e filmati su smartphone e pc, la tendenza si potenzia, eccede il look o i capi di abbigliamento firmati e coinvolge tutto il corpo degli uomini e delle donne, trasformandolo in una vetrina attraverso la quale ci mostriamo agli altri.

Così essere attenti al proprio corpo oltre ad essere un modo per sentirsi in forma ed essere gradevoli agli altri, assume significati simbolici più ampi e profondi.

È sufficiente frequentare le spiagge d’estate per accorgersi che i tatuaggi non sono solo sulle braccia dei calciatori: la moda si diffonde rapida; se ne vedono piccoli e grandi; sulla pelle si scrivono versi di poesie o nomi dei figli, si disegnano animali o fiori. La moda è tanto diffusa che solo in Italia l’Istituto superiore di sanità rileva che un milione e mezzo di italiani sono tatuati e la pratica coinvolge il 7,5% degli adolescenti. Nel mondo la diffusione è ancora più ampia: alcune ricerche dicono che hanno tatuaggi il 15% degli adulti e il 30% dei giovani. Questo è uno dei segni più evidenti della tendenza di trasformare il corpo in una vetrina.

Ce ne sono altri. Nelle nostre città, ad esempio, stupisce il proliferare di sale fitness e di centri benessere, dove concentrarsi su sé stessi si traduce nel leggere i ritmi del proprio corpo, capire il suo linguaggio per soddisfarne i bisogni: gli inglesi lo chiamano “awarenessmovement” (consapevolezza dei movimenti).

Utilizzare il proprio corpo come vetrina indica due atteggiamenti: da una parte il tentativo di diventarne dominatori; dall’altra parte piegarlo e ridurlo a strumento di comunicazione. Nel primo caso si cerca di combattere contro il tempo rincorrendo l’illusione dell’eterna giovinezza; inoltre star bene significa essere forti, dichiarare la propria autosufficienza. Nel secondo caso si prova a rivendicare un’identità imprimendo sul proprio corpo scritte e immagini che descrivono alcune passioni o alcuni legami, più che un quadro la pelle diventa un archivio, o un museo.

Quando poi non si riesce a mantenere il proprio fisico, si cercano espedienti; alcuni si accontentano di ritoccare le proprie immagini pubblicate con photoshop per eliminare le proprie naturali imperfezioni o asimmetrie e per cercare di mostrarci perfetti; altri ricorrono a soluzioni più radicali con i lifting e le liposuzioni.

Queste tendenze aprono delle domande: tutta l’attenzione sul nostro corpo quanto incide sulla ricerca dell’ascolto del nostro cuore e della nostra intimità? Allestire sé stessi come una vetrina quanto influisce sulla qualità delle nostre relazioni?

C’è poi il pericolo di cadere in eccessi incontrollabili: nella società dell’immagine la preoccupazione per il nostro corpo può diventare ossessiva, tanto che purtroppo si diffondono nei giovani malattie come l’anoressia e la bulimia, che rivelano l’inquietudine di non sapersi accettare.