Contro-riforme

parlamento

«Quando le cose vanno male nella struttura sociale di una nazione, a cagione della decadenza nelle capacità fondamentali dei suoi uomini, due distinte tendenze sembrano sempre rendersi rilevabili: la prima è quella di interpretare cambiamenti, che sono puramente e semplicemente segni della decadenza e della rovina di vecchie e sane istituzioni, come sintomi di progresso; la seconda, dovuta alla giustificata perdita di confidenza nella classe governante, è di dare a ciascuno, abbia o no le qualità volute, la sicurezza di essere indicato per fare uno sforzo al fine di aggiustare le cose».

Si direbbe che una progressiva ed infaticabile voglia di erosione e smantellamento delle nostre istituzioni democratiche, abbia conquistato la nostra vita politica.

Riduzione del numero dei parlamentari, superamento del bicameralismo perfetto, introduzione del “vincolo di mandato” ed altre manomissioni del nostro dettato costituzionale, sono nel programma di tutte le forze in campo, al governo e all’opposizione.

La prima misura è ipocrita e fortemente nociva. È contraria nella sostanza e nella forma alle ragioni per le quali il numero dei membri del Parlamento fu fissato in 630 deputati ed in 315 senatori. È sintomatica della malafede di chi la propone con tanta insistenza profittando del suo potenziale populista ed elettorale. Il beneficio che un tale provvedimento apporterebbe al bilancio dello Stato, infatti, è irrisorio.

E se davvero i conti fossero un problema, non servirebbe affatto mettere mano alla Costituzione. Sarebbe più semplice e sensato ottenere lo stesso risparmio riducendo tutti gli emolumenti, lasciando invariato il numero dei parlamentari. Si possono eliminare le auto blu, i rimborsi per ristoranti, istituti di bellezza, massaggiatrici e parrucchieri, senza però mai confondere i costi “della politica” con quelli “per la politica”.

La nostra, infatti, è una democrazia parlamentare rappresentativa. Ha bisogno, per la sua stessa difesa e sopravvivenza, di partiti politici organizzati. E questi devono necessariamente essere sostenuti attraverso i meccanismi del finanziamento pubblico (con le dovute cautele). Diversamente esiste il rischio che cadano facile preda di gruppi di potere economico, trasformati in sponsor e testimonial di questa o quella campagna elettorale.

I parlamentari sono “così tanti” (restano pur sempre lo 0,00001% della popolazione che rappresentano) perché anche il loro numero è una garanzia democratica. Rende straordinariamente difficile ad un qualsivoglia gruppo di pressione esterna il tentativo di influenzare a proprio vantaggio (magari attraverso strumenti di corruzione) la fondamentale attività legislativa che trova la sua sede istituzionale nelle due Camere.

In questo senso, il bicameralismo perfetto, il principio che la stessa legge venga approvata nel medesimo testo da Camera e Senato, è una ulteriore garanzia. Chi riuscisse nel mostruoso compito di corrompere i lavori di una camera, dovrebbe riuscire a ripetere la forzatura anche sul secondo ramo del Parlamento.

Anche l’articolo 67 va difeso, in continuità con quanto esposto sopra. Il rischio è la straordinaria facilità con la quale si potrebbe riuscire a traviare le intenzioni e le decisioni di quello sparuto numero di persone in grado, grazie all’introduzione del “vincolo di mandato”, di condizionare le scelte del gruppo parlamentare che si troverebbero a guidare. Immaginate 100 deputati o 30 senatori trasformati in meri esecutori delle scelte di due soli capigruppo, a loro volta nella condizione di non dover rispondere ad altri del loro operato, se non al segretario o alla direzione del partito politico di appartenenza.

I provvedimenti di cui tanto si discute, da tutti ritenuti urgenti e inevitabili, non sono il segno della combattività generale della massa elettorale. Al contrario: raccontano la sua passività, la sua progressiva demoralizzazione. C’è dietro un infantile abbandonarsi a movimenti che nella loro concezione totalitaria della politica nazionale, non accettano di esserne solo una parte.

In questo modo contribuiscono di fatto a costruire, in maniera più o meno consapevole, uno scenario in cui non è più il Parlamento che fissa il terreno e i mezzi di lotta, ma un movimento di cittadini che si ritengono illuminati dalla loro smania di giustizia sommaria, dal loro ostentato populismo, dall’ignoranza dei meccanismi istituzionali che viene scambiata per utile pragmatismo, essenzialità, velocità di movimento.

L’Italia di oggi non è l’Atene di Pericle. La democrazia diretta rappresenterebbe un peso insostenibile per un popolo lasciato sguazzare per troppi anni nell’incultura, indebolito nello spirito, diseducato alla vita pubblica e analfabetizzato rispetto ad ogni vero piano di discussione.

Aveva ragione Gramsci: tra progresso e suffragio universale può esservi conflitto.

2 thoughts on “Contro-riforme”

  1. Marco Giordani

    completamente d’accordo. La riduzione del numero dei parlamentari (a quanto mi risultava propugnata ed auspicata da tutti, #tranneiradicali) non ha senso; anzi i parlamentari sarebbero da aumentare, legandoli ancora più al territorio, con piccoli colleggi uninominali. Certo, questo con una sola camera, eliminando il Senato nella sua forma attuale.

    Questo vale chiaramente anche a livello regionale, e la diminuzione di rappresentanza che ne consegue è particolarmente visibile qui. Tuttavia, per non pestare i piedi ai padroni nazionali, i nostri politici si limitano a pietire una “garanzia” per Rieti, invece di mettere in discussione la riduzione stessa.

  2. Niccolò Eusepi

    Grazie di questo intervento, finalmente un voce sensata seppure fuori dal coro, che solleva il vero problema che abbiamo davanti, degno di un dibattito che spero inizi nel nostro Paese. Ecco i veri motivi della crisi: potentati che scardinano il nostro sistema legislativo attraverso usi comuni contrari alle leggi scirtte.

    Alla Sua affermazione che:”In questo modo contribuiscono di fatto a costruire, in maniera più o meno consapevole, uno scenario in cui non è più il Parlamento che fissa il terreno e i mezzi di lotta, ma un movimento di cittadini…..”, io aggiungerei che i cittadini “..che si ritengono illuminati..” sono in realtà facilmente manipolabili – seppure come spigherò la realtà politica è assai più complesse – da una mano molto potente che sta dietro a questo disegno da decenni, la stessa che in quarant’anni ci ha voluto convincere che la finanza privata è necessaria per il bene dell’umanità ma che invece sappiamo oggi come abbia portato il mondo al collasso della crisi del 2008 ed il disastro odierno, per mera avidità, così come all’inizio degli anni ’80 gli stessi potentati hanno staccato Banca d’Italia dal Tesoro – Andreatta, maestro di Letta (!) – facendo esplodere il ns. debito pubblico a favore delle casse delle banche, così come nel ’93 Amato (sempre gli stessi partner) ha regalato queste banche e la stessa Banca d’Italia ai privati, tramite le Fondazioni bancarie.

    Questo ultimo passaggio ha portato davvero danni pazzeschi, perché, una classe politica tangentopolizzata fu ben riciclata passando per le nomine delle Fondazioni bancarie di amici politici decotti del pentapartito + sinistra, che da allora governano i nostri Comuni con il meccanismo delle nomine che consolidano una rete di coesa di appoggi privati trasversali – il tutto con i soldi nostri – reti ‘esterne’ all’amministrazione ed alla politica, portandoci quella cultura medievale del potere che Craxi tentò di difendere con il famoso “…così fan tutti” e che giuridicamente si chiama ‘uso comune’, che loro volevano fosse la legge al posto di quella scritta (un abominio).

    Per capire il danno fatto da Amato, proprio con la scusa che nel ’93 c’era un periodo di crisi come oggi, gli amministratori locali hanno da allora applicato pedissequamente proprio il principio esecrato da processi ed opinione pubblica, quel principio dell’uso comune che, se un giudice volesse andare a vedere l’illegittimità dilagante nelle amministrazioni degli enti locali – premiate per molti anni dalla soppressione dei Coreco e l’incompetenza delle Prefetture in questa materia – e consistente una quantità sistemica di delibere illegittime e giustificate sempre con motivazioni ideologiche da paese del terzo mondo, ci accorgiamo che il giudice dovrebbe mettere in galera tutta la classe politica italiana e forse un pezzo di magistratura amministrativa. Cosa che non si può fare, facendo perciò trionfare un ‘uso comune’ che è devastante per i territori, ne ingessa e congela ogni anelito di sviluppo alla mercé della gestione della cassa pubblica a fini particulari, una cassa pubblica peraltro sempre più misera mentre la’loro’ è notoriamente cresciuta a dismisura..

    E’ con questa mossa di Amato, dottor sottile e fine costituzionalista, ahime!, amico di un establishment internazionale che ha tutto l’interesse a scardinare il sistema democratico italiano e disarticolare la nostra costituzione, come da Lei ben spiegato, che si è creata la famosa Casta che nasce nei Comuni e riesce a governare il Paese come unico coacervo di ‘usi comuni’, tutt’altro che civici e molto pro domo di ciascuno, facendosi anche una legge tipica delle dittature, con le liste blocccate.

    E finalmente oggi si sono riuniti tutti sotto la presidenza Letta, un fatto preoccupante non solo perché il dominio dell’uso comune diventa totalmente asfissiante ad ogni livello di territorio (chiaramente a livello centrale è più raffinato, per esempio si firmano trattati capestro con la UE senza il voto del Parlamento, etc.) ma anche perché il buon Presidente è discepolo del citato Andreatta di cui sopra, degno rappresentante della maniera italiana di concepire l’asservimento nazionale ai potentati privati internazionali (come se fossero Spagna o Francia, di rinascimentale memoria), ma con l’aggravante dell’impossibilità di garantire uno sviluppo qualunque, per la sopra citata questione dell’ingessamento totale della politica ad ogni livello, guidata da un sistema ormai incontrollabile di elusione della norma scritta.

    In tutto ciò staremo a vedere, perché questo governo non ha detto una parola sul mezzogiorno, ed è forse la prima volta nella storia, e perchè l’unica mossa che dovrebbe fare Letta se vuole coniugare sviluppo con politica internazionale e quella di …..dare alla nuova Autorità sugli Appalti pubblici anche il compito di sanzione per le Amministrazioni che vengono trovate in difetto: lo farà? E’ lecito dubitarne, ma se non succede si rischia davvero il collasso del sistema istituzionale, sulla spinta di una nuova rivoluzione italiana di stampo rinascimentale, perchè questa volta si muove con il ceto medio il quale chiede una democrazia compiuta, da sottrarre a questi Don Abbondio e Don Rodrigo, sempre per stare nella nostra storia patria. Spero proprio che oggi per questa strada si sappia dare voce al cambiamento, che mai come ora è necessario.

    Niccolò Eusepi.

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