Contro corrente, non contro natura

Dal 7 marzo è in libreria “Pecoranera”, un libro in cui Devis Bonanni racconta la propria esperienza. A 24 anni ha cambiato vita rinunciando a stipendio e comodità per mettersi a coltivare la terra e muoversi solo in bici. Oggi Devis ha quasi 28 anni e conversando con lui si capisce come non sia affatto pentito della scelta.

Devis, cominciamo dalla “pecora nera”. Perché questo nome?

È un riferimento ai miei ideali socio politici di un tempo, tendenti all’anarchismo. Gli anarchici sono sempre stati pochi e malvisti: come le pecore nere. In senso lato indica più che altro la necessità di trovare una propria identità rispetto ad un gregge che segue la via verso il burrone.

In qualche modo la tua è una scelta di autosufficienza e indipendenza…

Sì, ho voluto riappropriarmi della mia vita e del saper fare. In un mondo in cui il lavoro è iper-specializzato e si dipende in tutto e per tutto dagli altri e dal denaro, ho sentito la necessità di ritrovare un certo grado di libertà in comunione con la Natura.

Oggi si parla molto di posto fisso e precarietà. Si direbbe che tu abbia semplicemente superato il problema restituendo al lavoro il senso che gli è proprio…

In un certo senso è così. Lavorare per soddisfare i propri bisogni è un qualcosa che non andrà mai in crisi e non richiede il permesso di nessuno. Anche pedalare è un lavoro. La mobilità costa ed io amo pensare che a pedalare rubiamo il lavoro alle case automobilistiche e alle società petrolifere! Diventiamo produttori di mobilità…

Nel 2010 MTV ha realizzato un video sulla tua esperienza. Colpisce un passaggio in cui racconti di esserti stupito di come, con l’aver lasciato il lavoro, non ti fosse in fondo «successo niente»…

Sì, mi ricordo. Quando uno si fa le domande, ci sono dei muri altissimi da superare: sono le “convinzioni” sociali. In realtà nulla ci è vietato. Niente si interpone tra noi e un possibile cambiamento. Ma il cambiamento è terribilmente “sconsigliato” da come siamo stati cresciuti e influenzati. Per licenziarmi ci sono voluti almeno tre anni di incubazione. C’era da maturare una scelta di cui prendermi la responsabilità, ma soprattutto ho dovuto capire che le mie paure erano del tutto immotivate.

La tua storia parla di come ci sia ancora molto da dire su cosa valga la pena di desiderare dalla vita…

Trovo che oggi siamo imboccati a forza di soluzioni preconfezionate.Uccidono la fantasia e le abilità. Non sappiamo fare più molto con le mani e il tempo libero non è cresciuto di pari passo con lo sviluppo tecnologico, anche se quest’ultimo prometteva la liberazione dal lavoro. Ma allora a che serve il cosiddetto progresso?

È la domanda da fare al mondo contemporaneo?

C’è da porre l’accento sul divario tra sviluppo del benessere e progresso civico e spirituale. Non siamo uomini migliori di un tempo nonostante tutti i mezzi che abbiamo escogitato. Mancano i contenuti, non le possibilità. «Oggi il problema non è come fare, ma cosa fare». Nella nostra epoca la scelta conta moltissimo, ma non abbiamo il tempo per pensare e scegliere. Se non avessi riflettuto a lungo non avrei mai potuto scegliere di lasciare il lavoro e coltivare la terra.

Prima di diventare una “pecora nera” eri un tecnico informatico: hai dovuto imparare la manualità e i saperi dell’agricoltura o eri già pronto?

Ho sempre avuto una manualità disastrosa, il classico bambino che all’asilo impara per ultimo ad allacciarsi le scarpe. Nell’informatica mi trovavo benone: che manualità serve a pigiare tasti? Nessuna! In più i miei non hanno mai avuto a che fare con l’agricoltura. Mi sono inventato contadino. C’è da dire che coltivare richiede meno manualità di altre attività, magari artigianali. Però ci vuole molta organizzazione, spirito di osservazione e costanza. Sono doti che non mi mancano. La confidenza con gli attrezzi è venuta con il tempo.

La scelta dell’autosufficienza: come hai fatto per l’energia e come ti rapporti oggi con il denaro?

Voglio puntualizzare sull’autosufficienza: quella alimentare è una chimera insensata se pensata al 100%. Ottenere la quantità calorica è relativamente semplice, ma per ottenere una giusta varietà nelle coltivazioni ci vogliono anni. Oggi, parlando di cibo, sono autosufficiente per tre quarti. Dunque i soldi servono, anche se pochi.

Quanto all’energia?

Mi sono sempre scaldato a legna, anche l’acqua calda. Questo azzera la bolletta più pesante, quella del gas. Per l’elettricità: quando abitavo nella casetta di legno avevo il pannello solare. Ora sto in una abitazione “tradizionale” e ho l’allaccio all’Enel. Tutto quello che funziona a corrente in casa si riduce a lampadine, computer e caricabatterie. Niente frigo, né elettrodomestici da cucina. Ho il freezer in cantina. Quello è molto importante. In ogni caso la bolletta è ridotta di molto. Per l’acqua sono allacciato all’acquedotto. Più o meno spendo duecento euro al mese per uscire con gli amici, per fare un poco di spesa, per il telefono, per qualche indumento e per la bicicletta. Se improvvisamente mi staccassero tutto la mia vita non cambierebbe poi molto. Mi peserebbe solo rinunciare a internet.

È interessante che in questo percorso di ricercata frugalità la rete non stoni affatto…

Internet mi pare abbastanza leggero, popolare, ma al contempo consente una comunicazione da pari a pari, non dall’alto in basso. È molto… anarchico come mezzo, ci girano le idee. Elimina i filtri dei media tradizionali, che oggi paiono elefantiaci anche se hanno ancora un ruolo importante.

Prima accennavi alla spiritualità. Esserti liberato di tante cose ti ha aiutato ad avere un “respiro più profondo”, una visione più “alta”?

Quando si ha molto tempo per pensare inevitabilmente si finisce per trovare dei significati inaspettati. Io ho trovato una forma di spiritualità nel contatto con la Natura. È fatta di un sentire che credo autentico, poco comunicabile, salvo invitare le persone a vivere l’esperienza dei campi e dei boschi. Ha a che fare anche con il corpo: è come sentirsi collegati a qualcosa di più grande, che viene prima e dopo. A volte provo grande meraviglia per la vita che vedo, per le piante soprattutto. Sono incredibili. Più ci si avvicina alla terra più tutto sembra meravigliosamente onesto.

C’è da immaginare che quanti hai attorno non ti abbiano incoraggiato…

È vero. Quello che più mi infastidisce sono le pacche sulle spalle di compatimento. Poche volte qualcuno ti dà contro esplicitamente, ma c’è sempre chi, pur senza cattiveria, tenta di ricondurti a “più miti consigli”. Forse si cerca di non rispondere alla domanda: «perché anch’io non faccio così?». Forse dipende da paure che vorrebbero condividere per star tranquilli. Non c’è da dare la colpa a nessuno. È che manca la voglia di aprirsi al confronto. Avere un punto di vista critico costa fatica ed espone a conseguenze non prevedibili. Ed ecco che per pigrizia si spegne la testa.

Pensi che le tue scelte possano diventare proposte politiche?

Non credo nell’importanza della politica. Per me i governanti o malgovernano, o interpretano i cambiamenti che la società avrebbe comunque espresso. Il massimo che mi aspetto è che le istituzioni non si mettano di traverso, che assecondino le istanze di cambiamento. Non sarà dall’alto in basso che cambieranno le cose. Spero cambino per intelligenza, per scelta, per una sorta di risveglio. Ma più pragmaticamente credo che cambieranno per necessità. Le istituzioni sono marginali: una società cambia quando cambiano i singoli. Per questo credo nella comunicazione da pari a pari, nella rete orizzontale di gente che fa qualcosa in una direzione.

L’agricoltura e la bicicletta, però, sono scelte di carattere democratico. A parità di condizioni danno gli stessi risultati più o meno a tutti e premiano in modo proporzionale all’impegno.

Su questo sono d’accordo. Proviamo ad intenderci con un esempio a rovescio: il nucleare, sicuro o meno che sia, per me è negativo a priori. Centralizza la produzione energetica e crea potere, padroni e schiavi.

I tuoi spostamenti sono tutti a pedali. In generale la bicicletta è praticata con meno consapevolezza dell’orto. Vista più come un giocattolo o un fatto sportivo è difficilmente considerata un vero mezzo di trasporto…

Ho notato che in tanti sono disposti a pensare di cambiare la propria alimentazione, ma molto meno a muoversi alternativamente. Credo dipenda dal fatto che muoversi in bici o con i mezzi significa rinunciare a mete oppure a tempo. Sono rinunce che costano. A parole tutti vogliamo essere più bravi con il Pianeta, ma quando dobbiamo rinunciare… son dolori. Pure io che faccio i prediconi sul cibo non rinuncio a sfondarmi di cioccolata. Oppure parlo di salute e poi mi faccio certe bevute con gli amici!

Dalle tue parole emerge la conquista o la ricerca di un equilibrio con gli altri e con il mondo. È quanto è venuto meno nella società dei consumi?

Penso che non abbiamo avuto il tempo di abituarci al benessere. In fin dei conti il nostro cervello è ancora quello dell’ominide che viveva le tragiche necessità della sopravvivenza. Da questa frattura emergono i paradossi. I problemi con la linea ad esempio, ma anche spararsi a duecento all’ora con l’auto. Io sto cercando una formula per vivere una vita piena di significato, e in questo significato c’è anche un pizzico di visione oltre me, oltre la mia persona. Perché il significato si trova anche nell’agire tenendo conto che non siamo scollegati dal mondo e da chi lo abita.

Un’ultima domanda, un po’ indiscreta. Sei giovane e forse ti interessa la prospettiva di avere una famiglia tua. Il tuo stile di vita è un problema in questa direzione?

Se e quando formerò una famiglia, immagino che i compromessi fioccheranno. Cercherò anche qui un equilibrio. Penso si possa crescere un figlio in modo da rimanere aderenti al mio stile di vita, senza estremismi. Sarebbe un’occasione per ulteriori riflessioni, per fare di più e meglio piuttosto che ritornare sui propri passi. Non sono pratico di formule magiche. Credo che quel che vale oggi forse non varrà domani, ma contemporaneamente voglio rimanere aderente ad una filosofia di fondo.

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