Consultorio e Famiglia: serve più rete

Quando si parla di famiglie “concrete” e dei cambiamenti che affrontano, un buon punto di osservazione è senza dubbio il Consultorio Familiare Sabino. Ne parliamo con la presidente Silvia Vari.

Silvia, quando il Consultorio è stato costituito, era una struttura in qualche modo unica nel suo genere. Oggi ci sono tanti soggetti che offrono servizi assimilabili, anche non confessionali. Questo ha cambiato il ruolo del Consultorio Familiare?

Credo che oggi il ruolo del Consultorio sia innanzitutto quello di offrire un supporto alle famiglie. C’è da tenere conto di tutte le nuove problematiche e criticità del nostro contesto. Le famiglie vivono una condizione di grande fragilità: economica, ma c’è anche il discorso delle separazioni, o dei disequilibri che comporta una malattia. Ci sono sofferenze legate alle vedovanze, a storie di solitudine. Rispetto al passato il Consultorio si deve per forza ridefinire e rimettere in gioco. È sempre a disposizione della persona: ad essere sono cambiati sono i contesti familiari.

Il Consultorio è sostenuto da un’associazione di ispirazione cattolica. Cosa comporta questa prospettiva rispetto a questi cambiamenti sociali?

Occorre tenere presente che il Consultorio ha una vocazione “laica”, e che non si rivolge solo ai cattolici, ma offre consulenze a tutta la società, si rivolge a tutte le persone. La prospettiva è quella della comprensione: siamo consapevoli che un conto era parlare di certi temi trent’anni fa e un altro è affrontarli oggi. Se è vero che la famiglia arranca, il problema è prestare soccorso ai vuoti che lascia questo venir meno, soprattutto rispetto alle persone più vulnerabili.

Una cosa che però non cambia è la prospettiva di tutela della vita. Da questo punto di vista il consultorio cattolico, rispetto alle realtà laiche ha una impostazione ben precisa…

Naturalmente. Rispetto alle strutture pubbliche, ad esempio, le risposte possono essere diverse. Ma non è solo una impostazione ideologica: c’è anche uno sforzo per mettere a disposizione risorse che altrove non sono minimamente contemplate.

Che spaccato sociale emerge dall’esperienza del Consultorio?

Quello di un forte disagio. Si percepisce che le richieste di aiuto che arrivano sono come la punta di un iceberg: c’è una montagna di sofferenza sommersa, inespressa, inascoltata che va intercettata e curata. Altrimenti non verrà mai fuori: per paura, vergogna, mancanza di fiducia…

Occorre una strategia!

In un certo senso è così. Ad esempio stiamo stringendo patti di collaborazione con le scuole. Sono progetti che puntano all’ascolto, sono tentativi di comprensione. Ci stiamo mettendo in gioco, sperando di offrire qualcosa di interessante per i ragazzi e ricevere da loro un feedback positivo.

Perché proprio i giovani?

Perché ci sembrano i più fragili, quelli maggiormente in pericolo. Perché essere giovani oggi sembra più complicato che in passato: c’è più giudizio, più competizione, ed un mondo molto complesso con cui fare i conti. Ovviamente il Consultorio non ha la bacchetta magica, non è che risolva tutti i problemi. Però vuole provare ad offrire delle opportunità, delle chiavi di lettura. Vorremmo stimolare i ragazzi ad essere maggiormente consapevoli di se stessi.

In ogni caso la sfida cui è chiamato il Consultorio sembra impegnativa…

Lo è. Non a caso stiamo cercando di farne anche una sorta di raccordo del volontariato che si occupa di problematiche affini. Nessuno è tuttologo, ma strutture centrate su problematiche specifiche messe in rete possono ampliare la capacità di tutti. Con alcune realtà abbiamo stretto un vero e proprio patto di collaborazione. Sarà una rete di servizi che verrà presentata il prossimo 24 ottobre.