Con i migranti vicini al cuore

Visita di Papa Francesco alla basilica del Sacro Cuore, a due passi da Termini.

Non perdete la speranza in un mondo migliore, “voi siete vicini al cuore della Chiesa, perché la Chiesa è un popolo in cammino verso il regno di Dio”. È la Giornata mondiale del migrante e rifugiato e Papa Francesco augura a queste persone di vivere in pace nei paesi in cui si trovano ad essere accolti “custodendo i valori delle vostre culture di origine”. Nello stesso tempo ha parole per quanti lavorano con i migranti per “accoglierli e accompagnarli nei loro momenti difficili, per difenderli da quelli che il beato Scalabrini definiva ‘i mercanti di carne umana’ che vogliono schiavizzare i migranti”. Le sofferenze di una vita “tante volte senza lavoro, senza documenti”.

Parole alle quali Francesco unisce il gesto di un incontro, andando, nel pomeriggio, alla basilica del Sacro Cuore in via Marsala, due passi dalla stazione Termini di Roma. La quarta volta del Papa è la visita a una parrocchia che è una realtà di periferia esistenziale, dove trovano aiuto dalla comunità salesiana circa 400 tra migranti, rifugiati e persone senza fissa dimora. Il Papa incontra una ottantina di rifugiati e altrettante persone senza casa, li invita ad avere coraggio e ricorda loro che la notte è più buia proprio quando si avvicina l’aurora, e la luce è il Signore che ci viene incontro e ci da speranza.

Luce e salvezza per ogni uomo è l’agnello di Dio, ci ricordano le letture della seconda domenica del tempo ordinario.

Fermiamoci per un attimo sulla parola agnello: nei nostri giorni non ha più lo stesso valore che aveva nel tempo delle scritture e della tradizione ebraica biblica, non ci rimanda più al mondo agricolo, contadino, né tanto meno ci ricorda che l’agnello era l’alimento centrale del pasto pasquale che ricordava l’uscita del popolo dalla schiavitù dell’Egitto. Un agnello “senza difetto, maschio, nato nell’anno”, si legge nell’Esodo, che viene sacrificato e il cui sangue, posto sugli stipiti delle porte, salverà dalla morte. Prefigurazione simbolica del Messia, dunque, l’agnello immacolato. Nel Vangelo di Giovanni è Giovanni Battista a dare questa definizione di Gesù, lo vede avanzare tra la folla e “ispirato dall’alto, riconosce il lui l’inviato di Dio, per questo – afferma il Papa all’Angelus – lo indica con queste parole: ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato dal mondo”.

Se nella tradizione ebraica l’agnello è memoria della liberazione dalla schiavitù fisica del faraone, nel cristianesimo diventa liberazione dalla schiavitù del peccato: “Non c’è altro modo di vincere il male e il peccato se non con l’amore che spinge al dono della propria vita per gli altri”. È la missione di Gesù, ricorda il Papa, caricarsi delle nostre sofferenze fino a morire sulla croce: è il “vero agnello pasquale, che si immerge nel fiume del nostro peccato, per purificarci”.

L’agnello certo non è un animale al quale guardiamo per forza e robustezza; ma è proprio in questa immagine di fragilità che cogliamo la novità del messaggio cristiano: “La massa enorme del male viene tolta e portata via da una creatura debole e fragile, simbolo di obbedienza, docilità e di amore indifeso, che arriva fino al sacrificio di sé. L’agnello – afferma il Papa – non è un dominatore, ma è docile; non è aggressivo, ma pacifico; non mostra gli artigli o i denti di fronte a qualsiasi attacco, ma sopporta ed è remissivo”.

In questa docilità, umiltà c’è l’immagine di Gesù. E cosa significa per noi oggi essere discepoli di Gesù, si è chiesto Francesco. “Significa mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio”. Il compito del cristiano oggi è proprio quello di capire che il nostro essere cittadini delle due Gerusalemme, come ci ricorda la Lettera a Diogneto, significa vivere non in una cittadella assediata ma nella città “posta sopra il monte, aperta, accogliente, solidale”. Vuol dire “mettere al posto della malizia l’innocenza, al posto della forza l’amore, al posto della superbia l’umiltà, al posto del prestigio il servizio”. Vuol dire ancora, non avere atteggiamenti di chiusura, ma proporre il Vangelo a tutti, e testimoniare con la vita “che seguire Gesù ci rende più liberi e più gioiosi”.