Con gli occhi degli ebrei

Riflessioni su ‘Aggressore e vittima. Per una storia integrata dell’Olocausto’ di Saul Friedlander.

Ho sempre pensato che i libri sulla storia fossero noiosi e di scarso interesse, adatti solo a professori anziani e dalla barba lunga. Preferivo infatti leggere storie romantiche o di fantasia, che mi permettessero di identificarmi con i personaggi o di far far viaggiare la mente verso un mondo diverso da quello reale.

Ma quando, per ragioni di studio, mi sono trovata a tu per tu con un saggio storico, la mia visione è cambiata totalmente: se inizialmente era un compito noioso da portare avanti (volente o nolente), alla fine si è rivelato una meravigliosa scoperta. Merito dell’impostazione che l’autore, S. Friedlander, dà al suo libro, Nonostante il serio ed importante argomento, viene presentata una storia diversa, e in un certo senso alternativa, di ciò che tutti noi conosciamo.

Egli infatti indaga sul crimine più efferato della storia contemporanea non presentandolo esclusivamente dalla parte dei colpevoli, non limitandosi insomma a descrivere la modalità con cui Hitler, capo di stato tedesco, portò avanti il suo folle progetto. Piuttosto l’autore tenta di riportare tutto ciò che sta dietro alla famigerata soluzione finale (annientamento di tutti gli ebrei) , e che in qualche modo ha permesso che essa venisse messa in atto.

Da qui deriva il termine storia integrata: non il racconto monocromatico di tutto ciò che concerne i colpevoli, ma anche,e soprattutto, la storia delle vittime e i loro singoli pensieri.

Ecco quindi che leggiamo pezzi di diari dei ‘non ariani’; stralci di discorsi hitleriani pubblici e privati; una coraggiosa condanna di coloro che, pur potendo perché potenti, non emisero una sola sillaba contro quell’ossessione insensata; la descrizione della tragica vicenda di 90 bambini tutti fucilati davanti ad ufficiali tedeschi (e non solo) che, invece di fermare il massacro, rimasero a guardare passivamente.

Una storia cruda, drammaticamente reale, che non si fossilizza su una sola visione, ma cerca di mostrare l’Olocausto da ogni punto di vista, da ogni minima sfaccettatura, rischiando a volte di apparire disunita e confusa.

Friedlander, come racconta egli stesso alla fine del libro, visse l’odio antisemita con gli occhi di un bambino ebreo che perde tutto, dalla famiglia al senso di appartenenza ad una patria. E questo ci aiuta a comprendere perché abbia sentito l’esigenza di dar voce a coloro che spesso una voce non l’hanno potuta avere, e di metterla accanto alla storia già nota, sottolineando con più forza l’orrore di quest’ultima.

Devo molto a questo libro, che ha aperto le porte ad una visione, forse più complessa, ma certo più reale, di un evento che ha segnato in maniera indelebile un periodo storico non poi così lontano.

Da leggere dunque (ve lo consiglio vivamente), perché il ricordo della Shoah non si limiti ad un documentario visto in TV il 27 gennaio.