Computer: la Cina si mette in proprio

La Cina ha elaborato un proprio sistema operativo: il China Operating System (Cos)

Da Pechino glielo avevano promesso a Washington e, oltre Muraglia, ogni promessa è debito: la Cina è pronta per fare completamente a meno dei sistemi operativi sviluppati negli Usa per far funzionare i propri pc. Ad innescare, almeno in parte, la nuova escalation sono state le recenti accuse contro Pechino giunte dal Grand Jury del distretto ovest della Pennsylvania.

Tutto ha inizio lo scorso maggio in Pennsylvania, dove il Grand Jury del distretto ovest ha chiamato sul banco degli imputati cinque esperti informatici dell’esercito cinese: l’accusa è di aver compiuto azioni illegali di hacking e spionaggio ai danni di sei cittadini statunitensi. Il procedimento ha un valore che va al di là della cronaca, perché si tratta del primo processo in cui dei membri dell’esercito cinese sono ufficialmente e pubblicamente accusati di fatti di cyberspionaggio ai danni di un Paese occidentale. La reazione di Pechino non si fa attendere. Il Ministro degli Esteri cinese lancia delle controaccuse contro gli Usa: “la Cina è vittima di diverse incursioni informatiche perpetrate dagli Stati Uniti, di intercettazioni e di sorveglianza illegale”. Pechino, inoltre, interrompe tutti i gruppi di lavoro congiunti Usa-Cina sui temi della cybersicurezza e minaccia ulteriori rappresaglie “con l’evolversi della situazione”.

Il primo colpo veramente duro Pechino lo sferra contro Microsoft: da tutti i computer dell’apparato statale cinese viene rimosso il sistema operativo Windows 8. Molti esperti ritenevano che quella della Cina si sarebbe ridotta ad una rappresaglia di breve periodo, convinti dell’impossibilità di far funzionare il proprio apparato informatico statale senza il sistema operativo di Microsoft, ma le notizie di questi giorni danno una nuova portata alle minacce di Pechino. Il regime sta mettendo a punto un sistema operativo proprietario che, a partire da ottobre, sostituirà quello di Redmond. È il China Operating System (Cos) ed a darne la notizia è il “People’s Post and Telecommunications News”, organo di stampa specializzato che fa direttamente capo al ministero cinese dell’Industria e dell’Information Technology.

Si scopre così che il progetto, partito a marzo scorso, è iniziato ben prima del caso Pennsylvania e sembra piuttosto legato alle rivelazioni di Snowden sul Datagate. A guidare il progetto di Pechino c’è un pezzo da novanta, Ni Guangnan: cofondatore di Lenovo, professore all’Institute of Computing Technology all’Accademia cinese delle Scienze, presidente del Chinese Information Processing Society e membro del board di Forbes. “Il nostro obiettivo – ha dichiarato Ni Guangnan – è cominciare a distribuire il sistema operativo nel giro di un paio di mesi attraverso gli app store. Il nuovo software dovrebbe essere in grado di sostituire i sistemi operativi per desktop nel giro di un anno o due”. Il nuovo software sarebbe in realtà una nuova versione di un sistema operativo made in China già esistente.

A tremare, però, non è solo Redmond. Pechino ha stilato una vera e propria blacklist nella quale sono finiti anche di altri sviluppatori di software internazionali, inclusi Symantec e Kaspersky, oltre a produttori come Ibm e Cisco. Ma neppure Google ed Apple possono stare tranquilli: secondo Ni Guangnan “nel giro di tre o al massimo cinque anni” il Cos sarà disponibile anche per tutti i dispositivi mobili (smartphone e tablet).