Comifar: questo è quanto

Con la diffusione della notizia – ancora non ufficiale – della prossima chiusura dell’unico deposito di medicinali della provincia di Rieti, si torna a parlare di Comifar.

Esponenti politici e media hanno ripreso l’argomento dopo un lungo periodo di silenzio. Finora, in effetti, il tema è parso interessare poco. Ed è singolare, perché i venti lavoratori di Comifar corrispondono ad un servizio essenziale, quello dei farmaci, del quale difficilmente si può fare a meno. Pur non essendo numericamente comparabile con altre situazioni di crisi tra le attività produttive di Rieti, la vicenda della Comifar andrebbe quindi seguita passo passo, se non altro perché, in qualche modo, riguarda la salute di tutti.

A vedere il quadro invece, emerge una sorta di diffusa inconsapevolezza. Un atteggiamento che stupisce non solo guardando alle forze politiche, ma anche alla cittadinanza in generale. Non si ricordano, infatti, prese di posizione da parte del mondo delle associazioni e del volontariato – pure attento al comparto sanitario – né da parte dei molteplici movimenti civici che stanno emergendo in città. È un atteggiamento che lascia perplessi, almeno quanto l’uso strumentale che la politica, a destra e a manca, tende a fare di queste situazioni. Eppure ci sarebbero diversi motivi di interesse ed intervento, dato che la sorte di questa realtà, centrale nel sistema locale, non è ancora nettamente delineata.

Da parte nostra proviamo a chiarire un po’ le cose tornando a parlarne con Claudio Mei, delegato sindacale UIL all’interno di Comifar.

Claudio, quali sono le attuali prospettive del magazzino dei medicinali di Rieti?

Al momento non c’è nulla di ufficiale. Le indiscrezioni emerse sui media in questi giorni, derivano da una riunione informale tenuta in azienda che nulla cambia, però, della sostanziale situazione di stallo che stiamo attraversando. C’è da dire che, dato il momento, sarebbe meglio non diffondere sulla stampa notizie che sono poco più che voci di corridoio. Sono scelte che fanno più male che bene alla nostra causa e comunque non hanno dietro fatti concreti.

Quindi non vi è stata comunicata ufficialmente una data di chiusura?

No, anche se le nostre prospettive non sono certo allegre. La confusione attuale deriva, forse, dal complesso di soluzioni attraverso cui, io e i miei colleghi, proviamo ad andare avanti. In parte rimaniamo in organico a tempo pieno, alcuni sono in cassa integrazione, ed altri in mobilità. Ci sono poi alcune lavoratrici che hanno scelto un orario part-time per conciliare lavoro e famiglia. È facile rendersi conto di come, in questo contesto, con le paure di fronte alle incertezze che aumentano, le aspettative e i desideri di ognuno si differenzino anche secondo le diverse esigenze particolari e il susseguirsi di timori.

Cosa vuoi dire?

Poniamo sia certo – anche se ovviamente speriamo il contrario – che l’azienda decida di chiudere il magazzino a maggio, quando andranno esaurite le ore di cassa integrazione. Chi avrebbe convenienza alla mobilità, perché vicino alla pensione o impossibilitato ad accettare il trasferimento di sede che dovrebbe proporci l’azienda, si trova costretto a fare questa scelta entro la fine di febbraio. Si trova cioè a scommettere su una chiusura del sito che al momento non dovremmo dare per scontata. Ci sono ancora margini per lottare e tentare un recupero, ovviamente se la popolazione e gli operatori ci aiutano. La messa in mobilità, peraltro, vedrebbe l’organico del magazzino diventare troppo risicato e, non essendo possibili nuove assunzioni, il quadro d’insieme finirebbe per essere un ulteriore incentivo alla chiusura da parte dell’azienda.

Ma cosa comporterebbe la chiusura del magazzino Comifar?

Tralasciando la nostra situazione, che tra licenziamenti, mobilità e trasferimenti corrisponderebbe ad un ulteriore calo del reddito cittadino, si verificherebbero probabilmente diversi disservizi nel settore delle farmacie. I disagi saranno presenti soprattutto in quelle periferiche, spesso veri e propri punti di riferimento di una popolazione sempre più isolata e sempre più anziana. Non vediamo operatori esterni propensi a sostituirsi a Comifar per frequenza di consegne e disponibilità, dato il ridotto mercato che queste realtà rappresentano. Ma anche per l’utenza delle farmacie di città, che per volume di medicinali lavorati e logistica riusciranno sicuramente a trovare alternative, si aprirà un periodo di probabili difficoltà. Si può dire quel che si vuole, ma un conto è avere la propria fonte a pochi passi, altro è doversi rifornire lontano. Le sette consegne al giorno che noi garantiamo non sono tecnicamente possibili ad altri. Lo stanno sperimentando per loro scelta le farmacie comunali e non crediamo che si trovino bene. E se i clienti non trovano quanto occorre loro è bene sappiano l’origine del problema.

Un tema centrale rimane dunque quello delle farmacie “comunali”.

È evidente: la scelta dell’ASM di rifornirsi altrove corrisponde ad una fetta significativa del fatturato perso, unitamente ai mancati ordini di diverse farmacie private. Ma quella di ASM, se mi è permesso di dirlo, è una faccenda tutta particolare. Dimostra ampiamente la debolezza della politica. Il sindaco e gli altri esponenti di maggioranza sono certamente in buona fede quando ci fanno delle promesse. Il mancato rientro degli ordini delle farmacie comunali però, testimonia un dato di fatto: la Giunta non riesce ad esercitare un reale controllo sull’ASM. E questo nonostante il Comune sia ancora il socio di maggioranza dell’azienda. Anche l’opposizione ci sta mettendo impegno e buone intenzioni, ma non riesce ad avere risultati concreti, e soprattutto nei tempi utili. Neanche le elezioni amministrative cambieranno nulla rispetto al destino Comifar. Magari la nostra situazione servirà come argomento di campagna elettorale, ma il voto si celebrerà a ridosso o poco dopo la data della nostra probabile chiusura, e qualcuno potrebbe pensare che ci sono battaglie più redditizie. Chi si avvantaggi da tutta questa situazione non lo sappiamo, né si capisce bene chi tiene davvero i fili di questa città. Sicuramente sappiamo chi ci rimette: i cittadini. Almeno per questo sarebbe bello vederli un po’ più vicini alle nostre istanze.