Come sta il Velino?

Come sta il Velino? È l’instancabile “volontario per forza” Benito Rosati a porre la domanda e a cercare di dare una prima risposta. Così si è avventurato lungo il corso d’acqua, come pure lungo il Turano.

E non ha fatto una buona scoperta: nell’alveo dei due fiumi si trovano in continuazione alberi caduti nella corrente, mentre gli argini risultano ingombri di vegetazione, e dunque difficilmente accessibili. In qualche punto Benito segnala pure qualche piccola frana, con la conseguente discesa nelle acque di altri alberi e detriti. «In qualche caso – spiega l’ambientalista – si vedono tronchi che attraversano il fiume da un lato all’altro. Potrebbero fare diga. I recenti fatti di Genova, forse, dovrebbero insegnarci qualcosa».

È un invito alla prudenza: «non sempre possiamo pensare di intervenire dopo che si è verificato qualche problema: una volta tanto proviamo a fare prevenzione, a pensarci prima».

In ogni caso – viene da aggiungere – avremmo comunque rimesso in ordine un pezzetto di territorio.

Un tempo il fiume era una ricchezza per la città. Se ne traevano sabbia e pietre per costruire, legname e un qualche sostentamento. E questo rapporto diretto con la vita faceva sì che i corsi d’acqua conoscessero una costante pulitura, una continua manutenzione.

Oggi, ovviamente, non è più possibile puntare sul quel tipo di economia, ma non per questo il Velino ci deve diventare estraneo. Al contrario, sarebbe opportuno continuare ad averne cura, e non solo per evitare che alla lunga costituisca un pericolo, ma anche per rinnovarne l’identità. Ad esempio rendendolo davvero quel parco fluviale di cui si parla da anni.

Ma ci sono orecchie per questi argomenti?