A cosa (e come) crediamo di credere / 1

Quella che inizia oggi è una serie di articoli legati da un filo rosso. Nelle prossime settimane infatti, cercheremo di raccontare il rapporto tra giovani e Chiesa. Ovviamente dalla nostra personalissima prospettiva di giovani reatini e senza pretese sociologiche o d’altro tipo. A guidarci sarà soltanto la voglia di capire meglio un pezzo della nostra realtà.

Diciamo innanzitutto che per giovani intendiamo ragazzi e ragazze sotto i trenta. Questa soglia è dettata dalla nostra età, e ci consente di usare la nostra esperienza come primo metro di giudizio.

La prima puntata di questa “inchiesta” è dedicata proprio al nostro rapporto con la fede e la Chiesa. Non pretendiamo certo di essere rappresentativi del contesto generale, ma è forse l’unico modo per rompere il ghiaccio e dimostrare i nostri intenti.

Abbiamo entrambi attraversato il solito iter dei sacramenti: battesimo, comunione e cresima. E poi c’è stato il distacco che, ne caso di uno di noi, è stato direttamente proporzionale all’età.

Si ricordano con affetto gli anni di catechismo trascorsi nella casa di Dio. Le sue gesta narrate da preti e catechisti erano vissute con la curiosità e l’entusiasmo tipico dell’infanzia. Queste contribuivano pian piano a formare nell’immaginario di noi bambini, la figura di un Dio molto simile ad un supereroe: grande, buono e invisibile.

Con il passare degli anni, la sensazione di entrare in casa di qualcuno che non si poteva vedere, lasciava un senso di frustrazione, di quasi scetticismo. Quel gruppo di bambini che si ritrovavano settimanalmente in chiesa, finiva adesso, sempre più spesso, per incontrarsi in altri luoghi. Il parco, il bar, la piazza. Posti in cui molti finivano per cercare quel Dio che non si faceva vedere né a casa, né in strada.

Il concetto di fede rimaneva anche da ragazzi un qualcosa di astratto e di difficile collocazione. Non era facile credere che un Dio tanto grande e tanto buono poteva permettere l’esistenza di cose tanto atroci, quanto tristi e ingiuste.

di Caterina D’Ippoliti e Samuele Paolucci