Ci rubano le parole della nostra memoria

C’è un vuoto nel cancello di ferro nero che dà accesso al campo di sterminio di Dachau. Qualcuno nella notte di sabato scorso ha rubato la porticina alta appena due metri, su cui campeggiava la frase simbolo di tutti gli orrori: “Arbeit macht frei”. Quel tragico e beffardo: “Il lavoro rende liberi”. Era l’immagine per eccellenza del male. Era la Shoah. Era la voce di tutti i morti che la follia del nazismo ha inghiottito con un’onda di violenza inaudita e di umana pazzia. “Arbeit macht frei”: fu la prima cosa che Primo Levi vide prima di entrare anche lui nell’orrore di Auschwitz.
Questi anni di pace e di democrazia non sono stati vani. La memoria di quei morti è stata onorata e migliaia di persone hanno attraversato quella porta in silenzio, con il cuore gonfio di dolore. Lì hanno sostato in preghiera laica studenti di tutta Europa, giunti nei luoghi dello sterminio quasi in pellegrinaggio per conoscere dove può giungere il confine del male. Per prendere soprattutto consapevolezza che il male estremo può sempre impossessarsi del cuore degli uomini.
Ora quella scritta e quel cancello non ci sono più. E la memoria è stata profanata. Il presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Renzo Gattegna lo considera un “episodio penoso e squallido” mentre la direttrice del memoriale, Gabriele Hammermann, parla di un “salto di qualità della cultura della profanazione”. Oggi, davanti al vuoto lasciato dal furto, riecheggiano le domande: chi è stato? Chi ha potuto profanare un luogo laicamente sacro per l’Europa? A chi dava fastidio quella scritta? Chi ha voluto cancellare la memoria? E che fine ha fatto quella scritta? La speranza – come dice Gattegna – è che “si tratti di un’azione sconsiderata di mitomani” e che “non ci sia alcun gruppo organizzato”.
Se c’è ancora un barlume di umanità in chi ha compiuto quel gesto, verrebbe da dirgli che non vale la pena. Non vale la pena spendere la propria vita per gesti sconsiderati che possono ferire nel profondo; la storia va onorata non profanata perché il mondo ancora oggi è attraversato dal dolore e le tragedie del nostro tempo ci insegnano che occorre imparare a fermare l’odio nei cuori perché il male compiuto genera solo altro male. Se esiste allora ancora un barlume di umanità in chi ha rubato il cancello di Dachau, lascerebbe quella scritta storica e simbolica nel punto esatto da dove l’ha prelevata sabato notte. Perché il futuro appartiene a chi opera nella giustizia. Solo “il bene rende liberi” dalle ombre del passato, dalle catene del rimorso.