C’è tanta gente che dipinge a Rieti, nessuno sa quanta

Prosegue l’attività di promozione culturale e artistica della Confraternita degli Artisti e dell’Auditorium dei Poveri.

Durante il fine settimana dal 27 febbraio al 1 marzo la sala attrezzata all’interno degli spazi della chiesa di San Giovenale ha infatti ospitato – con notevole interesse del pubblico – una mostra composta da una selezione dei lavori degli alunni de “La Schola” di Franco Bellardi.

«C’è tanta gente che dipinge a Rieti, nessuno sa quanta. Noi a La Schola siamo trenta – ci spiega Maria Rita Rossi, che è stata un po’ l’organizzatrice dell’iniziativa – e nel susseguirsi dei vent’anni abbiamo sempre avuto tra i venti e i trenta allievi. Basta fare il conto per capire quante persone sono interessate. E La Schola è solo una delle realtà che ci sono a Rieti, poi ci sono tanti altri artisti».

Però si vedono poco…

Questo è vero. Noi scherzando diciamo spesso che a Rieti c’è una malattia: la “reatinite”. Colpisce tante persone, specialmente quelli che stanno più in alto. Ci lasciano nel fondo del bicchiere senza dare alcuna importanza a queste realtà. Invece ci sarebbe bisogno di unpo’ di attenzione: non per avere dei grandi riconoscimenti, ma per avere un riscontro culturale con le persone giovani, per attrarle verso l’arte. E invece siamo tenuti un po’ in disparte dalla realtà cittadina, che pure è così bella, così ricca di cose. Però l’arte – la nostra e quella dei nostri colleghi pittori – è un po’ messo in secondo piano.

Si insiste spesso sul problema della mancanza di spazi per l’arte?

Beh, gli spazi non ci sono. Noi abbiamo chiesto alla Confraternita degli Artisti di avere questa opportunità. Altrimenti non sapremmo dove esporre le nostre opere. A Rieti non c’è una pinacoteca, non c’è un posto in cui poterci riunire noi artisti ed esporre le nostre cose, o spazi per permettere delle istallazioni. Non ci sono i luoghi giusti: è una cosa assurda, quasi ridicola. Ci sono tante persone che hanno questi interessi – e non tutti restano a livello amatoriale – ma rimangono bloccati perché non riescono ad esporre. È un cosa triste. È la reatinite.

Un altro aspetto interessante è l’idea della “Schola”. Sembra avere a che fare con l’idea della trasmissione dei saperi, in questo caso delle tecniche artistiche. Forse è un qualcosa su cui in città non si riflette più. Non a caso il sapere agricolo e quello artigianale sono in gran parte andati perduti…

Noi puntiamo molto sui giovani. Prendi ad esempio la calcografia: abbiamo il torchio, abbiamo tutto quello che occorre per l’incisione, un arte meravigliosa che va scomparendo nel nostro Paese. Ecco, vorremmo che le scuole venissero a La Schola. Per far vedere il percorso di una lastra, oppure mostrare il forno quando si lavora la ceramica. Tramandare queste cose sarebbe importante. Abbiamo avuto qualche esperienza in questo senso, ma queste cose faticano ad andare avanti.

Perché?

Perché c’è una mentalità chiusa. Perché magari i genitori ai figli dicono; «beh, che fai? Adesso dipingi?» come se fosse una cosa inutile, un divertimento. Ma non è così. Anche per il più semplice acquerello ci vuole uno studio dei colori, della composizione. Ci vuole una consapevolezza. Poi l’esperienza può anche essere amatoriale, divertente, ci può essere il momento della risata. Ma quando prepariamo un bozzetto ci mettiamo a studiare. Non è che partiamo “così” e facciamo il quadro. Credo sia una cosa interessante per noi, ma anche formativa per un bambino.