C’è del sacro in Gauguin

Non solo paesaggio e natura. Nell’uomo innocente la sua ricerca di Dio

Con l’estate che ormai volge al termine, guardando i capolavori di Paul Gauguin il pensiero corre subito a mete lontane ed esotiche, isole perse nell’Oceano Pacifico, dove sogno e libertà vivono in simbiosi con una natura incontaminata. Spesso, in maniera erronea e sbrigativa, si è portati a credere che Gauguin sia il cantore malinconico del Paradiso di Milton e che la sua vicenda, umana ed artistica, possa ricondursi ad una sorta di malessere da bohemien in fuga dal mondo. Ma così non è. Sicuramente le opere del maestro di Pont Aven evocano un mondo perduto, una umanità pura e istintiva; in esse si assapora il senso di libertà ed il fascino primitivo di “un altro mondo”. Eppure nei suoi dipinti traspare una ricerca più profonda, una ricerca che è soprattutto intimistica e spirituale.

Occorre ricordare che Gauguin è stato un artista difficilmente inquadrabile sotto il profilo stilistico, non apparteneva infatti ad una specifica scuola come i nabis, come gli impressionisti o i pittori naif (come l’amico e socio Vincent van Gogh).

La sua personale ricerca espressiva lo ha portato a recuperare alcune tecniche medievali come quelle utilizzate per le vetrate, da qui l’etichetta di “cloisonnisme”, ovvero una pittura a campiture.

Per comprendere lo spirituale in Gauguin ci faremo aiutare dal maestro stesso, attraverso tre celebri opere. Partiamo dal controverso “Il Cristo giallo” (Albright-Knox Art Gallery di Buffalo), realizzato nel 1889. Analizzando l’opera possiamo notare come il crocifisso, ai cui piedi sono poste due contadine in costume dell’epoca, è inserito in un paesaggio campestre bretone, colto in un giorno caldo di autunno. Tutta la composizione si basa su due assi fondamentali: da un lato dominano i colori vivacissimi, utili a creare un’atmosfera pacata e contemplativa; dall’altro i personaggi sono costruiti attraverso un sensibile linearismo ed un forte bidimensionalismo. L’artista è tornato più volte sul colore giallo, con lo scopo di trovare la giusta tonalità cromatica; il giallo rimanda simbolicamente al grano da cui deriva il pane, ed il pane è il corpo di Cristo; gli alberi rossi, richiamano il colore del sangue, quello della Passione. Il maestro attraverso la poetica dei colori e dei simboli recupera il senso del cristianesimo delle origini.

Più “polinesiana” è invece l’opera “Ia Orana Maria” (“Ave Maria”), dipinto ad olio su tela realizzato nel 1891(Metropolitan Museum of Art di New York). Gauguin riprende il tema tradizionale dell’Annunciazione ma lo ambienta a Tahiti. La Madonna, identificabile anche dall’aureola, indossa uno stupendo pareo rosso e porta sulle spalle, come farebbe una donna del luogo, il bambino Gesù, anch’egli con aureola. Di fronte a loro si fanno avanti due donne tahitiane con le mani giunte, ma non in atto di preghiera, bensì di benvenuto. Immerso nella natura è l’angelo annunciante che sembra come mimetizzarsi tra la vegetazione, se non fosse per le raggianti ali. In questo quadro il virtuosismo del maestro è elevato, riesce infatti a combinare elementi plastici in primo piano (la frutta esotica) con elementi lineari (le donne tahitiane) senza creare distorsioni visive.

L’ultima opera che analizziamo fu realizzata tra il 1897 ed il 1898, e già il titolo dice moltissimo: “Da dove veniamo? Chi siamo? dove andiamo?” (Museum of Art di Boston). Concepita come una sorta di affresco, l’opera si sviluppa da destra verso sinistra ed è una rappresentazione metaforica della vita stessa ed una meditazione sulla natura. I personaggi rappresentano le età dell’uomo: l’infanzia si riconosce nel bambino disteso e abbandonato, un richiamo alla gioventù (che coglie i frutti migliori della vita) o addirittura un riferimento al peccato originale, si identifica nel ragazzo che coglie un frutto. In secondo piano è presente un idolo aborigeno tutto blu, elemento che identifica le bugie del pantheon pagano. Infine nella estrema parte sinistra si nota una donna anziana che sembra assumere una posizione fetale. Ecco il cerchio della vita che si apre e si chiude. Tuttavia l’opera non è così conclusa perché, all’interno di essa aleggia una meditazione silenziosa tra ragione e natura, rappresentata da due donne in atteggiamento pensoso.

Se è vero che nei quadri di Gauguin possiamo trovare il paesaggio e la natura incontaminata della Polinesia, altrettanto vero è che in alcuni di essi possiamo scorgere la sua personale ricerca di Dio attraverso l’uomo colto nella sua innocenza.