Casa Buon Pastore: tra preti come in famiglia

Ci sono sacerdoti anziani, ma non è una casa di riposo. Ci sono sacerdoti giovani, ma non è una parrocchia. Accoglie seminaristi e studenti, ma non è il convitto di un seminario. Stiamo parlando della Casa Buon Pastore, la struttura diocesana compresa nel complesso ex “Stimmatini”: forse è poco conosciuta, eppure è un’esperienza importante per la vita della Chiesa locale

«Se dovessi dare una definizione alla “Buon Pastore” – ci spiega il direttore del complesso, don Nicolae Zamfirache – direi che è una “casa canonica allargata”. Siamo 15 sacerdoti: alcuni sono impegnati in parrocchia, altri sono in pensione e svolgono attività diverse, ad esempio in ospedale, oppure come don Giacomo, che ha l’incarico di esorcista. È con noi anche il vescovo emerito Delio e, dopo il 24 agosto, abbiamo accolto anche quattro parroci delle zone terremotate. Ci sono sacerdoti che sono venuti in diocesi per lo studio e danno una mano nelle parrocchie il sabato e la domenica. L’idea di fondo è quella di offrire ai sacerdoti la possibilità di vivere una vita in comune».

Come si svolge la giornata al “Buon Pastore”?

La Casa ha un programma giornaliero, ma non prevede alcun obbligo di partecipazione. A dettare il ritmo è la preghiera: la giornata inizia con le Lodi alle 6.30 e alle 7.30 si celebra la messa. I sacerdoti che non svolgono attività in parrocchia si riuniscono e concelebrano. Poco prima di pranzo si recita l’Ora media, alle 17 i Vespri e alle 21 la Compieta. Due momenti importanti sono quelli dei pasti, durante i quali ospitiamo anche sacerdoti che vengono da fuori. In molti hanno una casa parrocchiale, ma di tanto in tanto preferiscono condividere il pasto e stare insieme ai confratelli. I momenti in comune comprendono anche lo svago: dopo cena condividiamo la serata, guardiamo il telegiornale o la partita e commentiamo la giornata. Spesso è con noi a pranzo anche il vescovo Domenico. Per condividere un momento in comune, ma anche per ascoltare ciascuno da parte.

Che rapporto c’è tra i sacerdoti giovani e quelli più anziani?

C’è un dialogo molto bello tra le generazioni. È utile ai sacerdoti più giovani, che imparano dall’esperienza dei più navigati, ma anche agli anziani fa piacere condividere le proprie esperienze di vita e di attività pastorale. A volte nascono confronti tra come era la pastorale in passato e come viene concepita oggi. Si ragiona sui cambiamenti dei tempi e delle esigenze.
Come in famiglia…
Sì, in fondo siamo proprio come una grande famiglia. Non a caso festeggiamo insieme gli onomastici, i compleanni, gli anniversari di ordinazione…

La Casa Buon Pastore offre anche altri servizi?

Certamente: accoglie gruppi di preghiera e ritiri del catechismo. Stiamo ospitando un corso di crescita personale. E siamo a disposizione dei vari uffici della diocesi: ultimamente, ad esempio, l’Ufficio Scuola ha chiesto i nostri spazi. E non di rado ospitiamo l’incontro del clero con il vescovo del terzo giovedì del mese.

Ma dal punto di vista pratico chi si occupa di far funzionare la struttura?

Nella “Buon Pastore” ci sono tre religiose che si occupano di tenere in ordine la casa. Sono indiane, e sin dal loro arrivo si sono dedicate ai sacerdoti. Il loro carisma è quello di annunciare la Buona Novella: raggiungono il risultato servendo la diocesi nella cura dei nostri sacerdoti. Una disponibilità verso l’altro che scende a cascata sui fedeli.

La casa Buon Pastore si trova nel quartiere di Campoloniano, il più recente e popoloso della città. Che relazione c’è tra i sacerdoti presenti e questo contesto?

Un rapporto molto bello, fatto di rapporti quotidiani. Ad esempio vengono diverse persone a confessarsi. Alla Casa “Buon Pastore” un sacerdote al quale aprire il cuore si trova sempre. E dopo la prima volta, in tanti si affezionano a un dialogo condotto con calma da un pastore che non ha in agenda altri gravosi impegni pastorali.

Vale anche per i parroci delle zone di Accumoli e Amatrice?

Beh, per loro è diverso: spesso ritornano sui luoghi del sisma. Si appoggiano a noi dopo aver perso le case canoniche, ma non hanno mai abbandonato la propria gente. In questo modo cerchiamo di aiutarli ad accompagnare chi sta vivendo il momento più duro, ma anche a preparare la ricostruzione.