Carlo Maria Martini: l’unica Parola

Ai funerali il messaggio del Papa, l’omelia del card. Scola, il pensiero del card. Tettamanzi.

Oggi pomeriggio nel duomo di Milano si sono svolte le esequie del card. Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, spentosi a Gallarate, all’età di 85 anni, venerdì 31 agosto. La messa, presieduta dall’attuale arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, è stata concelebrata da 9 cardinali, 39 vescovi e 1.200 sacerdoti, alla presenza di numerose autorità civili, come il premier Mario Monti, 4 ministri, l’ex presidente del Consiglio, Romano Prodi, 30 parlamentari e 35 sindaci provenienti da tutta Italia. In piazza Duomo c’erano oltre 15 mila persone, e circa 6 mila fedeli si sono raccolti in preghiera all’interno della chiesa.

Per la maggior gloria di Dio. «È stato un uomo di Dio, che non solo ha studiato la Sacra Scrittura, ma l’ha amata intensamente, ne ha fatto la luce della sua vita, perché tutto fosse ‘ad maiorem Dei gloriam’, per la maggior gloria di Dio». È un passaggio del messaggio che Benedetto XVI ha fatto giungere oggi pomeriggio in occasione delle esequie. A leggere il testo il card. Angelo Comastri. Proprio per questo, secondo il Pontefice, il card. Martini «è stato capace di insegnare ai credenti e a coloro che sono alla ricerca della verità che l’unica Parola degna di essere ascoltata, accolta e seguita è quella di Dio, perché indica a tutti il cammino della verità e dell’amore». E il card. Martini è stato capace di farlo «con una grande apertura d’animo, non rifiutando mai l’incontro e il dialogo con tutti, rispondendo concretamente all’invito dell’Apostolo di essere ‘pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi’. Lo è stato con uno spirito di carità pastorale profonda, secondo il suo motto episcopale, Pro veritate adversa diligere, attento a tutte le situazioni, specialmente quelle più difficili, vicino, con amore, a chi era nello smarrimento, nella povertà, nella sofferenza».

Mendicanti di Cristo. «Siamo qui convocati dalla figura imponente di questo uomo di Chiesa, per esprimergli la nostra commossa gratitudine», ha detto il card. Angelo Scola, nell’omelia per le esequie. Il card. Martini, ha ricordato il porporato, «non ci ha lasciato un testamento spirituale, nel senso esplicito della parola. La sua eredità è tutta nella sua vita e nel suo magistero e noi dovremo continuare ad attingervi a lungo». Secondo il card. Scola, «affidare al Padre questo amato pastore significa assumersi fino in fondo la responsabilità di credere più che mai in questo Anno della fede e la responsabilità di testimoniare il bene della fede a tutti. Ci chiede il nostro amato cardinale di diventare, con lui, mendicanti di Cristo». Questo è «il grande lascito del cardinale Carlo Maria – ha sottolineato il porporato –: davvero egli si struggeva per non perdere nessuno e nulla. Egli, che viveva eucaristicamente nella fede della risurrezione, ha sempre cercato di abbracciare tutto l’uomo e tutti gli uomini. E lo ha potuto fare proprio perché era ben radicato nella certezza incrollabile che Gesù Cristo, con la Sua morte e risurrezione, è perennemente offerto alla libertà di ognuno». Il pastore che ora affidiamo al Padre, ha evidenziato il card. Scola, «ha amato il suo popolo, spendendosi fino all’ultimo istante. Anch’io ho potuto far tesoro del suo aiuto quest’anno, fin all’ultimo affettuoso colloquio, una settimana prima della sua morte». «Nell’attitudine salvifica, e quindi pienamente pastorale, del suo ministero – ha aggiunto – egli ha riversato competenza scritturistica, attenzione alla realtà contemporanea, disponibilità all’accoglienza di tutti, sensibilità ecumenica e al dialogo interreligioso, cura per i poveri e i più bisognosi, ricerca di vie di riconciliazione per il bene della Chiesa e della società civile».

Punto di riferimento. Al termine della celebrazione ha preso la parola anche il card. Dionigi Tettamanzi, arcivescovo emerito di Milano e successore di Martini sulla cattedra di Ambrogio e Carlo: «Lui è stato, per me come per tantissimi altri, punto di riferimento per interpretare le divine Scritture, leggere il tempo presente e sognare il futuro, tracciare sentieri per la missione evangelizzatrice della Chiesa in amorosa e obbediente docilità al suo Signore». «Il cardinale Martini – ha ancora ricordato il card. Tettamanzi – mi ha accolto come suo successore sulla cattedra di Ambrogio e Carlo consegnandomi il pastorale mentre mi diceva: ‘Vedrai quanto sarà pesante!’». Per questo per il porporato è stata forte l’emozione: «Mi è difficile parlare eppure vorrei tentare di essere la voce di questa Chiesa di cui egli è stato, nel nome del Signore, padre, pastore, maestro, servo, intercessore, testimone della verità di Dio e della dignità dell’uomo». Il card. Tettamanzi ha così rievocato il «sorriso» e la «parola» del card. Martini, il suo «chinarsi sulle nostre fragilità», lo «sguardo capace di vedere lontano», la fede «nei giorni della gioia e in quelli del dolore» e «l’arte di ascoltare e di dare speranza a tutti».