Chiesa di Rieti

Cappellano e suore nell’ospedale blindato

«Protocolli rigidissimi, tutta l’attenzione è ora concentrata sull’emergenza», spiega il responsabile della Pastorale della salute, il diacono Nazzareno Iacopini. Il cappellano don Stefano non ha più la possibilità di girare i reparti come di solito faceva, e la Messa anche al de Lellis si celebra a porte chiuse

C’è luogo più blindato dell’ospedale, in questo momento? No che non c’è. Unico punto per entrare e uscire, guardie giurate inflessibili, ingressi solo per necessità improrogabili, misurando la temperatura prima di entrare. Ricoveri ridotti all’essenziale, proprio quando non se ne può fare a meno. E per i pochi ricoverati “normali” nessuna visita. Attività ambulatoriale praticamente sospesa salvo urgenze, interventi rinviati se non strettamente indispensabili.

Protocolli rigidissimi, che «forse si potranno leggermente allentare dopo Pasqua, ma bisognerà vedere», spiega il responsabile della Pastorale della salute, il diacono Nazzareno Iacopini. Tutta l’attenzione è ora concentrata sull’emergenza coronavirus, e anche lo stesso Ufficio da lui diretto ha dovuto sospendere qualunque attività, compreso il servizio del Centro sanitario diocesano, che proprio a causa degli ambulatori chiusi stava rischiando l’assalto: ma per il servizio ubicato a palazzo San Rufo spazi e attrezzature disponibili, non certo previsti per una situazione del genere, non avrebbero permesso di garantire gli standard di sicurezza né per gli utenti né per gli operatori volontari.

E la pastorale sanitaria “sul campo”? Anch’essa limitata. Al “de Lellis” lo stesso cappellano don Stefano non ha più la possibilità di girare i reparti come di solito faceva. Sospese anche le presenze degli altri cappellani collaboratori da fuori, don Cesare, padre Alberto e il diacono Agostino, a presidiare il nosocomio resta solo lui. «Ma in corsia posso andare solo quando vengo esplicitamente chiamato dagli infermieri», spiega il sacerdote malgascio che da diversi anni segue la cappellania del presidio ospedaliero reatino. Questo per le divisioni “normali”: i settori dedicati al Covid-19 restano out per chiunque, prete compreso, che del resto non avrebbe la “bardatura” supersevera richiesta per accedere nell’area più a rischio. E per chi muore di virus è nota la rigidità della procedura: la salma esce dal reparto dentro la bara sigillata e così raggiunge l’obitorio, dove don Stefano ha il pietoso ufficio di benedire, a feretro chiuso, le povere vittime – se cattoliche –dell’implacabile morbo.
Anche le suore camilliane continuano il loro servizio ordinario verso gli infermi, ma solo nei reparti in cui sono direttamente in servizio. Per il resto, si ritrovano in preghiera nella cappellina della loro abitazione e nella cappella al pianterreno si recano solo per la preghiera personale: così come nelle parrocchie, la Messa don Stefano la celebra infatti a porte chiuse.

Con tanta preghiera in più nelle intenzioni portate in questi giorni su quell’altare.