Canes Domini o canes dominorum?

Cani del Signore o cani dei “padroni”? È meglio cani del Signore, come i Domenicani (Domini canes, oltre che dal nome del fondatore Domenico), cioè segugi che portano la parola del Signore. Pare che la madre di San Domenico di Guzman avesse sognato un cane che portava in bocca una fiaccola, un figlio che portava la luce della fede agli uomini. Interpretazioni fors’anche peregrine, ma suggestive.

La sera del 3 settembre l’associazione Reate Antiqua Civitas e altre organizzazioni promuovono la rievocazione storica della cerimonia di canonizzazione di san Domenico avvenuta a Rieti il 13 luglio 1234, regnando il Papa Gregorio IX. Una lunga processione di trecento figuranti sfilerà dal lungo velino per via Roma fino alle arcate del Palazzo Papale e lì il breve e significativo squarcio della formula di canonizzazione.

Il Progetto Culturale della Diocesi di Rieti volentieri si affianca all’organizzazione perché questa manifestazione contribuisce a riscoprire le radici, interrate spesso nel sottosuolo della dimenticanza, della identità culturale del nostro popolo.

Come Francesco d’Assisi, santo di rilevanza universale, ha una forte connotazione reatina per la presenza dei Santuari che ospitano la famiglia che da lui ha tratto origine, così Domenico, santo universale, a Rieti fu elevato alla gloria degli altari appena a pochi anni dalla sua morte. L’Ordo Praedicatorum, ordine dei predicatori, fondato da lui, cioè i domenicani, non è stato un fuoco di paglia, ma una fiamma viva che riluce ancor oggi. Hanno illuminato il mondo della cultura, delle università, hanno lottato contro l’eresia catara, che propugnava una povertà tanto radicale quanto disumana e impossibile, che considerava positiva solo la dimensione spirituale contro quella materiale, che aborriva il matrimonio e tutto ciò che è materia.

I cani del Signore, dissero di no, riaffermando la dottrina della Chiesa, che considera anima e corpo due elementi imprescindibili della condizione umana, che il matrimonio è un bene se comunione di vita nel Signore, vocazione all’amore e apertura alla vita, che la povertà non è indigenza, ma distacco dalle cose e generosità verso il prossimo.

Il medioevo non fu un’epoca solo di peccati (perché, oggi noi ne facciamo di meno e di meno gravi?), ma fu un periodo ricchissimo, luminosissimo, con tante ombre, purtroppo, ma pieno di vitalità, di innovazioni, di fede e di cultura. Oggi la medaglia sembra rovesciata, l’eresia che imperversa nella nostra società è il contrario di quella degli Albigesi: diamo solo prevalenza a ciò che è materiale, a scapito di ciò che è spirituale, siamo avvinghiati ai beni materiali come se fossero l’unico senso della nostra vita. I cani del Signore portano la fiaccola, tremolante ma sempre accesa, di una fede viva che non tramonta, di una speranza che non delude, di una carità che non è finzione.

Tutti credenti sono chiamati ad essere cani del Signore e non servi dei padroni di turno che lasceranno solo un amaro ricordo del loro transito su questa terra. Cani del Signore, sì; cani dei padroni, no! Grazie.