Brexit: non sarà un divorzio indolore

Il presidente del Consiglio europeo Tusk fissa quattro punti per i negoziati con Londra. Parte l’iter dell’articolo 50 e il cammino appare già irto di ostacoli

Il divorzio tra Unione europea e Regno Unito non sarà una corsa, perché richiederà parecchio tempo; ma non sarà nemmeno una passeggiata, perché si tratta di un percorso irto di ostacoli.
L’enfasi assegnata alla consegna della lettera, datata 29 marzo, con la quale Londra chiede a Bruxelles di avviare i negoziati per recedere dall’Ue, è comprensibile: per la prima volta un Paese impugna l’art. 50 del Trattato di Lisbona per “uscire” dall’Unione, della quale fa parte dal 1973. Al contempo occorre ribadire che tale lettera, firmata dalla premier britannica Theresa May e recapitata al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, segna solo l’inizio di un iter che richiederà non meno di due anni e che potrebbe riservare molte sorprese.
Così è stato lo stesso Donald Tusk, il 31 marzo, a mettere a sua volta nero su bianco alcuni punti fermi sul Brexit, mentre il Parlamento europeo, istituzione direttamente coinvolta nell’iter, ha affrontato il tema a Strasburgo il 5 aprile in plenaria.
Gli “orientamenti per i negoziati” sul Brexit vengono proposti “ai 27” da Tusk perché, dopo l’attivazione dell’articolo 50, “il Regno Unito siede dall’altra parte del tavolo negoziale”. Il presidente del Consiglio europeo manda a dire, senza troppi giri di parole, che il Regno Unito è già un “separato in casa” e che sarà trattato con amicizia ma senza sconti o preferenze. Soprattutto perché “è nostro dovere contenere al minimo l’incertezza e i disagi per i cittadini, le imprese e gli Stati membri provocati dalla decisione del Regno Unito di recedere dall’Ue”. Tusk vuole “limitare i danni” agli europei.
Quattro i punti fermi dai quali il presidente del Consiglio europeo parte per queste trattative politiche ed economiche, che ha definito “difficili, complesse e talvolta addirittura conflittuali”. In primo luogo “dobbiamo pensare alle persone. Cittadini provenienti da tutta l’Ue vivono, lavorano e studiano nel Regno Unito, e finché il Regno Unito resterà un membro i loro diritti saranno pienamente protetti”. Secondo punto: è necessario evitare un vuoto giuridico per le imprese “derivante dal fatto che dopo il Brexit le leggi Ue non saranno più applicabili nel Regno Unito”. Terzo: il Regno Unito deve onorare “tutte le responsabilità e gli impegni finanziari assunti in qualità di Stato membro. È solo una questione di equità verso tutti i cittadini, le comunità, gli scienziati, gli agricoltori e così via, nei confronti dei quali tutti noi 28 abbiamo fatto promesse e siamo debitori”. In quarto luogo, saranno ricercate “soluzioni flessibili e creative” al fine di evitare di ripristinare una “frontiera fisica” tra Irlanda del Nord e Irlanda, per sostenere il processo di pace nell’isola.
Si tratta di quattro elementi da rispettare nella prima fase dei negoziati: solo così si potrà poi pensare alle future reciproche relazioni, “che vadano oltre l’economia e includano la cooperazione in materia di sicurezza”. Dietro ogni parola di Tusk viene evocato un nodo delle discussioni attualmente all’ordine del giorno fra le due sponde della Manica: dai fondi che Londra dovrà ancora versare alle casse Ue al rispetto dei lavoratori comunitari, dalla lotta comune contro il terrorismo alla distribuzione dei fondi strutturali.
L’Ue “non persegue e non perseguirà un approccio punitivo”, osserva Tusk, anche perché “Brexit lo è già abbastanza di per sé”. Il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker, con stile forse poco diplomatico, si è spinto a dire che la decisione di lasciare l’Unione europea è “una scelta che i britannici un giorno rimpiangeranno”. Solo la Storia ce lo saprà dire.