“Boyhood” è un film “mondo”

Una istantanea sugli Usa e un affresco sull’essere ragazzi americani oggi.

Siamo abituati a vedere al cinema storie che abbracciano un periodo di tempo anche molto lungo: 10, 20 o anche più di 30 anni di vita di un protagonista e delle vicende che lo riguardano. Basti pensare ad un film come “Forrest Gump” di Robert Zemeckis che addirittura ci narra 50 anni dell’esistenza del suo protagonista, un “uomo medio”, cioè un uomo qualunque, anzi forse anche meno “dotato” fisicamente rispetto agli altri, che però è straordinario e che attraversa alcuni dei più importanti momenti della Storia degli Stati Uniti (dalla Guerra nel Vietnam alla guerra fredda fino alla contemporaneità), senza mai perdere il suo sguardo puro, positivo ed ottimista sul mondo. In quel film, come in tutti gli altri che fino ad oggi ci hanno raccontato storie dall’arco di tempo così lungo, il protagonista da bambino ha il volto di un attore bambino e da adulto quello del bravissimo Tom Hanks. La consuetudine, infatti, vuole che si utilizzino attori differenti, magari simili nei tratti fisici, per raccontare i cambiamenti d’età del protagonista di un film.

Ebbene, questa consuetudine è stata oggi rotta da una nuova pellicola, del tutto originale. Si tratta di “Boyhood”, diretto da Richard Linklater, la narrazione di 12 anni di vita del piccolo Mason, in cui il protagonista e tutti gli altri personaggi sono sempre gli stessi attori, ripresi nel corso di 12 anni reali delle loro vite. Il cast si è, cioè, incontrato ciclicamente lungo tutti questi 12 anni e ha così girato il film “in itinere”. Mason (8 anni) vive con sua madre Olivia e la sorella Samantha di poco più grande ma senza il padre Mason Senior, da anni separato ma rimasto comunque vicino ai ragazzi. Nonostante la madre abbia la tendenza a trovare nuovi mariti non eccezionali e costringa i figli a traslocare spesso, cambiare scuola e amicizie, lo stesso i due mantengono un rapporto forte con il padre e con lei nonostante tutto, passando 12 anni della loro vita assieme fino al momento di passare al college e di lasciare la famiglia.

“Boyhood” è un film “mondo”: un romanzo di formazione, una fotografia istantanea sugli Stati Uniti degli ultimi anni e un affresco sull’essere ragazzi americani oggi, partendo dalle radici, dalla formazione individuale, un racconto fondato tutto sul concetto di famiglia. Tutto avviene, positivamente e negativamente, all’interno del nucleo familiare, centro essenziale di cui non si può fare a meno. La famiglia di Mason è un esempio di tante famiglie americane contemporanee: purtroppo disgregate, ma in cui non mancano l’affetto, l’amore e le attenzioni. Luogo che forma le coscienze e le sensibilità dei propri figli. E come sono i figli di queste famiglie in difficoltà, anche se a loro modo piene di affetti? Sono giovani spaventati, come Mason, che hanno difficoltà a capire il loro ruolo nel mondo, che cercano in tutti i modi affetto, che non vogliono essere come tutti gli altri, omologati anche a causa delle nuove comunicazioni dei social network. Giovani che non sanno bene a quali valori riferirsi, ma che li vogliono ritrovare, per non finire come i propri genitori, a cui vogliono un bene infinito ma di cui riconoscono gli errori (e di cui apprezzano anche i sacrifici fatti).

Un film in cui si respira l’atmosfera della vita vera, dei momenti “morti” di ogni giorno come di quelli importanti, lo specchio di una generazione in cui si danno risposte ma si pongono allo spettatore tante interessanti domande sul mondo giovanile che ci circonda.