Basta l’indignazione?

Che ne faremo di tanta indignazione? Atti di violenza hanno interrotto, impedito, depistato la mobilitazione del 15 ottobre a Roma. Rimane da chiedersi se senza incidenti avrebbe portato a qualche buon risultato…

la manifestazione


Le immagini del 15 ottobre le abbiamo viste tutti. Qualcuno forse c’era pure. Una manifestazione grande, unica, globale. Una contestazione internazionale contro il Padrone dell’Oggi. Le banche, le politiche monetarie, il ricatto del debito e la compiacenza dei governi occidentali all’apparato finanziario sovranazionale: questi i nemici dei tanti scesi in strada.

i protagonisti


A protestare, in Italia, c’era un popolo che trascina sulle sue spalle un disagio diffuso e vero. C’erano i giovani sprecati, i cinquantenni esclusi, il ceto medio impoverito. C’erano gli studenti oggetto dei tagli alla scuola, le famiglie ridotte a fare da ammortizzatore sociale globale e i pensionati cui la pensione non basta davvero più. C’erano anche quelli che la pensione non la vedranno mai.

E c’erano pure i delinquenti: l’erba cattiva non muore mai. Che noia! Il nostro Paese è stato l’unico in cui si sono verificate distruzioni urbane, episodi di guerriglia, tentativi di mattanza. Sfoghi infelici di una rabbia sterile, calcolata ed un po’ cinematografica, utili più al potere che alla protesta. Il popolo sceso in strada – il così detto “movimento” – li contesta, esclude e condanna. Meno male! Ma nel farlo si ritrova curiosamente a fianco dei suoi nemici o presunti tali: il Governo, Draghi (Governatore di Bankitalia e prossimo Presidente della Banca Centrale Europea), la grande impresa, tanta parte dei media che ogni giorno ci trattano da poveri consumatori ad oltranza. A scanso di equivoci condanniamo anche noi la violenza. Tuttavia vorremmo evitare di intonarci ad un simile coro.

una lagna inutile


Ascoltiamo, invece, il lamento generale che si leva dal “movimento”. «Per tutti – dicono in sintesi – ora il tema sono le devastazioni. Nessuno parla delle ragioni fondanti della manifestazione». Lagna legittima, ma, temiamo, inutile. Anche se non ci fosse stata una sola vetrina rotta, delle “ragioni fondanti” non si sarebbe interessato nessuno lo stesso. Assai di rado, del resto, questo tipo di cortei in piazza ha davvero ottenuto-cambiato-determinato qualcosa.

È un po’ ingenuo pensare che il Potere di oggi, capace di condizionare il destino di interi Stati, di omologare l’infinita varietà delle esistenze individuali ai suoi scopi, si faccia spaventare da così poco. Si può credere che fare una sfilata «festosa e gioiosa» – come ha detto Nichi Vendola – sia un’arma contro il Nemico globale, ma ci pare assai fiabesco ed infantile. Ci serve davvero l’idea che si possa semplicemente “fare la festa” alla Crisi? Poi tutti a casa a vedere Maria De Filippi o a farsi i complimenti su Facebook. E si arrangi ognuno a trovare di meglio da fare, se può.

un obiettivo mancato


Anche se la manifestazione fosse andata a buon fine, in famiglia, in ufficio, a scuola, al bar o in Parlamento non si parlerebbe certo di debito, default, equity swap, eccetera eccetera. Meno che mai di Banca Centrale Europea, Fondo Monetario Internazionale, Organizzazione Mondiale del Commercio, Commissione Trilaterale, Gruppo Bilderberg e così via.

Un potere reale che più reale non si può, scientificamente attrezzato, dalle risorse illimitate, cinico e instancabile, non si combatte certo manifestando la propria indignazione con fischietti e tamburelli. A che serve tutto il repertorio di pupazzi, striscioni e bandiere in cui si sono sbizzarrite le proteste inconcludenti di tanti e tanti anni? Non hanno spostato di una virgola la pseudo-riforma Gelmini, le finanziarie, le manovre varie; come possono sperare di condizionare poteri sovranazionali e senza volto?

Al disastro attuale siamo arrivati in modo lento e quasi impercettibile in cinquant’anni o più. Chi tiene i fili dell’oggi ha eroso gli Stati, la democrazia e le esistenze individuali un poco alla volta, attraverso una azione costante e pianificata. Ha raggiunto l’obiettivo investendo grandi risorse per convincere il mondo della bontà delle proprie ricette. Una trama complessa ed articolata.

Non si può pensare di ricacciare indietro la strategia antidemocratica e disumana del neoliberismo selvaggio da un giorno all’altro, semplicemente chiedendoglielo. Tanto meno sfasciando auto e vetrine. Anzi, queste ultime sono azioni che spostano lo Stato a destra, che rafforzano il “potere altrove” legittimando la sua richiesta di tutela alla polizia, ai governi, all’opinione pubblica.

mettere sabbia negli ingranaggi


Occorre muoversi in tutt’altro modo. Bisogna innanzitutto capire quanto il sistema che si vuole combattere si sia impadronito delle nostre vite, dei nostri comportamenti, delle nostre scelte. Quanto i nostri desideri siano manipolati da un meccanismo che ci opprime, quanto i nostri bisogni siano stati distorti e assoggettati all’Apparato. A partire da questa riflessione individuale e collettiva si può pensare ad una conversione, ad un processo di riappropriazione, ad una controffensiva concreta che possa intaccare gli ingranaggi della macchina globale, ne mini i presupposti, ne smascheri le ragioni.

Si dice che il 15 ottobre a Roma abbiano sfilato duecentomila persone. Quanti di loro hanno un conto corrente bancario nel circuito tradizionale? Chiuderne anche solo la metà non sarebbe un gesto più incisivo di fischi e lanci di sassi? Quanti si rendono conto che l’uso intensivo dell’automobile richiede un sempre maggiore controllo militare sui paesi produttori di petrolio? Quanti sono attenti a non sprecare pensieri, cose ed energie nella loro vita quotidiana?

Se proprio volessimo trovare un senso in una giornata come quella del 15 ottobre sarebbe questo: l’opportunità che uomini e donne mossi da un’intuizione di fondo simile e positiva si incontrino, si mettano in relazione, si scambino esperienze di concreta resistenza alla deriva. La piazza va riconquistata, tolta ai violenti e alla deriva privatistica. Non si tratta tanto di mantenere il diritto a protestare, quanto di creare legami inediti e fecondi tra esistenze, saperi ed esperienze vive, individuali e collettive. Se si saprà fare questo, forse il 15 ottobre 2011 non sarà una occasione persa del tutto.