Bambini e città: un futuro già scritto?

Il Rapporto Unicef sulla ”condizione dell’infanzia nel mondo”.

Le città crescono, diventano megalopoli (ben 21 superano oggi i 10 milioni di abitanti) e nelle città crescono i bambini: oltre un miliardo di esseri umani tra 0 e 18 anni vivono in ambiente urbano; il loro numero sale a dismisura per effetto di un’urbanizzazione ormai inarrestabile.

Per molti la metropoli è garanzia di protezione, benessere, istruzione e accesso ai servizi sociali. Ma per centinaia di milioni la realtà urbana è quella degli slum, del lavoro precoce, delle carenze dei beni più essenziali: acqua potabile, fognature, scuola, cure mediche e sicurezza. L’Unicef dedica il suo Rapporto globale annuale, “La condizione dell’infanzia del mondo”, giunto nel 2012 alla 33ª edizione, a quei “Figli delle città” che, proprio nei luoghi dove c’è più benessere, vedono ignorati e calpestati i propri diritti fondamentali. Per l’Unicef, perciò, “è essenziale concentrarsi sull’equità, raggiungendo i bambini più poveri dovunque essi vivano”.

Verso l’urbanizzazione globale.

La popolazione urbana, evidenzia il Rapporto, “è in crescita costante: ogni anno aumenta di circa 60 milioni di persone, soprattutto nei Paesi a medio reddito. L’Asia ospita metà della popolazione urbana mondiale, nonché 66 delle 100 aree urbane che crescono più rapidamente, 33 delle quali si trovano nella sola Cina, dove la popolazione urbana raggiunge 630 milioni di abitanti. L’Africa ha una popolazione urbana superiore a quella del Nord America o dell’Europa occidentale”. Circa un terzo della popolazione urbana mondiale “vive negli slum (in Africa questa percentuale sale al 60%), dove si concentrano povertà, emarginazione e discriminazione”. Entro il 2020 “quasi 1,4 miliardi di persone vivranno in insediamenti non ufficiali e negli slum”. La quota maggiore dell’incremento umano in ambiente urbano si sta verificando “non nelle megalopoli ma in città più piccole: è qui infatti che vive la maggioranza dei bambini e dei giovani urbanizzati”.

Istruzione.

Le opportunità per chi vive nelle aree urbane, svela il Rapporto, non sono accessibili in modo uniforme. In Egitto, nel biennio 2005-2006, “il 25% dei bambini nelle aree urbane ha frequentato la scuola materna, contro il 12% dei bambini nelle aree rurali. Appena il 4% dei bambini appartenenti alla fascia del 20% delle famiglie urbane più povere ha frequentato la scuola materna”. A Delhi, in India, “poco più del 54% dei bambini degli slum frequentava la scuola primaria (2004-2005), rispetto al 90% dei bambini nel resto della metropoli”. In Bangladesh, secondo dati del 2009, “le differenze sono ancora più pronunciate al livello dell’istruzione secondaria: il 18% dei bambini degli slum frequenta la scuola secondaria, rispetto al 53% delle altre aree urbane e al 48% delle zone rurali”. Le famiglie più povere fanno fatica a pagare le tasse scolastiche: “Una recente ricerca condotta a San Paolo (Brasile), Casablanca (Marocco) e Lagos (Nigeria), ha riscontrato che il 20% delle famiglie più povere spende oltre un quarto del reddito familiare per mantenere i figli a scuola”.

Salute.

Nel 2010, ricorda il Rapporto, “quasi 8 milioni di bambini sono morti prima di aver raggiunto i 5 anni di età, in gran parte a causa di polmonite, diarrea e complicanze del parto”. Secondo alcuni studi, “sono particolarmente a rischio i bambini che vivono in insediamenti urbani non ufficiali (slum)”. In Bangladesh, una ricerca del 2009 rileva che “il tasso di mortalità dei bambini sotto i cinque anni negli slum è del 79% più alto di quelli nelle altre aree urbane, e il 44% più elevato che nelle aree rurali”. A Nairobi (Kenya) “circa i 2/3 della popolazione vive in insediamenti non ufficiali sovraffollati, dove il tasso di mortalità 0-5 anni è a un livello altissimo (151 decessi ogni 1.000 nati vivi), principalmente a causa di polmonite e diarrea”. In uno studio condotto in 8 città indiane tra il 2005 e il 2006 è stato rilevato che “il 54% dei bambini nelle fasce urbane più povere denotava un arresto nella crescita (indicatore di denutrizione cronica), rispetto al 33% del resto della popolazione urbana”. Secondo uno studio del 2005, a Nairobi, in Kenya, “l’esposizione cronica ad agenti inquinanti nelle aree urbane ha contribuito a più del 60% dei casi di disturbi respiratori dell’infanzia”.

Diritti.

Circa un terzo di tutti i bambini nelle aree urbane “non viene registrato alla nascita, e la percentuale risulta più vicina al 50% in Africa Subsahariana e Asia meridionale”. Nel mondo sono “215 milioni i ragazzi e le ragazze tra i 5 e i 17 anni coinvolti nel lavoro minorile: 115 milioni sono quelli che svolgono mansioni pericolose. In ambito urbano, la forma di lavoro minorile più frequente è quella dell’impiego domestico presso terzi, non di rado in condizioni di pesante sottomissione fisica, psicologica e sessuale. Inoltre, sono decine di milioni i bambini che vivono e lavorano sulla strada”. Molti bambini emigrano con le proprie famiglie, ma c’è anche una percentuale significativa di bambini e giovani che si spostano all’interno dei propri Paesi da soli. Un recente studio su 12 Paesi ha riscontrato che “un bambino migrante su cinque tra i 12 e i 14 anni e uno su due tra i 15 e i 17 anni si sono spostati senza un genitore”.