Il primo bacio della storia dell’arte

Tra i nonni di Gesù, Anna e Gioacchino, per il tocco di Giotto (Scrovegni)

La tradizione popolare celebra sant’Anna come protettrice delle partorienti, così le future madri a lei si rivolgono per ottenere tre doni particolari: un parto felice, un figlio sano e latte sufficiente per poterlo allevare. Nella traditio cristiana Anna e Gioacchino vengono glorificati come i genitori di Maria Vergine, quindi sono i nonni di Gesù. Eppure nonostante il culto così forte e radicato, nei Vangeli canonici non c’è traccia della loro storia. A questa vacatio biblica, compensano invece i vangeli apocrifi, in particolare il protovangelo di Giacomo e il vangelo dello pseudo Matteo, compendiati da alcune narrazioni contenute nella Legenda Aurea, la collezione di vite dei santi, scritta nel XIII secolo dal vescovo di Genova, Jacopo da Varazze. Tutte le vicende di Anna e Gioacchino verranno successivamente raccolte in modo armonico nel 1494 nel De Laudibus sanctissime matris Annae tractatus.

A questo punto ci si chiede: ma quali sono questi importanti accadimenti che vedono come protagonisti i nonni di Gesù?

Per soddisfare questa “curiosità”, ci faremo guidare da un narratore di eccezione, Giotto di Bondone e visiteremo un luogo suggestivo, un vero tempio dell’immagine: la cappella degli Scrovegni a Padova. La vicenda della cappella è nota, a partire dalla committenza da parte del ricchissimo banchiere Enrico Scrovegni, che la fece erigere e affrescare tra il 1303 e il 1305, chiamando il più importante artista dell’epoca. L’impresa che doveva servire ad esibire il potere “politico” del committente andava a vantaggio della propria famiglia e dell’intera popolazione cittadina.

Gli episodi che riguardano la storia di Gioacchino e Anna, sono inseriti nei riquadri posti alla sommità del muro laterale della cappella, quasi a voler simboleggiare un’ideale continuità con il cielo stellato che occupa tutta la volte a botte ed è contraddistinto da un magnifico colore blu oltremare.

Gli episodi si possono leggere come se fossero una sequenza cinematografica e la prima cosa che colpisce è che, a differenza del resto delle vicende evangeliche rappresentate, il clima narrativo è solenne e privo di drammaticità.

Il primo riquadro racconta la cacciata di Gioacchino dal tempio, l’episodio ricorda la consuetudine di allontanare le coppie sterili, giudicate non benedette da Dio. Nell’immagine il maestro fiorentino mette a frutto tutta la sua carica innovativa e coniuga attraverso un sottile gioco illusorio realismo e astrazione. La scena si svolge infatti all’interno di un tempio che si intuisce dalla sola presenza del presbiterio, con le lastre di marmo che disegnano lo spazio e sembrano avere una reale consistenza.

Nella stessa scena si svolgono due azioni contrapposte: da un lato un sacerdote benedice un accolito e, poco distante, un altro sacerdote allontana Gioacchino. Nell’episodio seguente si vede l’anziano uomo, triste e mortificato nel suo villaggio di pastori. Nella figura si notano le ampie campiture con cui il maestro fiorentino modella il mantello che avvolge elegantemente il corpo. Quando la narrazione delle vicende in cui è protagonista Gioacchino si interrompe, l’obiettivo della virtuale macchina da presa si sposta all’interno della casa di Anna, dove la donna è raccolta in preghiera, mentre un angelo annunciante passa attraverso la finestra. Un focus sulla quotidianità si nota nella donna posta in primo piano, la quale è intenta nel filare e non si accorge di quanto sta avvenendo. Si ritorna a Gioacchino nella scena del sacrificio, dove le pecore ricoperte dal vello e con le corna ricurve sono rappresentate con grande senso di naturalismo.

Si giunge infine al vero capolavoro dell’ultima scena dove troviamo i due protagonisti che si incontrano alla Porta Aurea di Gerusalemme e si scambiano un sublime bacio. Siamo di fronte al primo intenso bacio della storia dell’arte, così puro e vero che il maestro ha inserito nella rappresentazione una donna con abito scuro che si copre il volto in segno di pudore.

La porta della città è realizzata con una precisione tale, con il basamento in bugnato, l’arco a tutto sesto, le merlature e il ponticello posto di fronte all’ingresso, da aver fatto ipotizzare che si tratti dell’immagine di un monumento reale: la porta urbica di Rimini o addirittura la porta federiciana di Capua.

Giotto celebra Anna e Gioacchino con la lirica dell’arte figurativa, secondo quella poetica degli affetti che nel corso del Trecento mutò il lessico artistico dal greco al latino.