Chiesa

Attentati in Sri Lanka, Pedron (Caritas): «Cattolici sconvolti e Paese ferito. Sono i giorni del lutto, poi sostegno psicologico alle famiglie»

È rientrato questa mattina nello Sri Lanka, dove vive da anni con la famiglia, Beppe Pedron, referente di Caritas italiana per l'Asia meridionale: ha trovato un Paese ferito e impaurito e una comunità cattolica "sotto choc" ma solida

È rientrato questa mattina nello Sri Lanka, dove vive da anni con la famiglia, Beppe Pedron, referente di Caritas italiana per l’Asia meridionale. Ha trovato un Paese ferito e impaurito e una comunità cattolica “sotto choc” ma solida. In questi giorni si stanno celebrando i funerali. Giovedì ci sarà una riunione tra realtà cattoliche, tra cui Caritas Sri Lanka, per organizzare il sostegno psicologico ai familiari delle vittime. Il cardinale Ranjith si chiede perché, se c’era stato un preallarme, non siano stati informati.

“La comunità cattolica è sconvolta e tra la popolazione si sta diffondendo la paura di altri attacchi terroristici. Colombo è altamente militarizzata, l’aeroporto è presidiato dalla forze di sicurezza che controllano tutti i veicoli. Sembra di essere tornati ai tempi della guerra civile. Ora la sfida per tutti è non esacerbare l’odio e le tensioni tra religioni”. E’ rientrato stamattina nello Sri Lanka, dove vive da anni con la famiglia, Beppe Pedron, coordinatore regionale per l’Asia meridionale di Caritas italiana. Si è trovato di fronte un Paese impaurito e ferito dagli attentati terroristici della Domenica di Pasqua a chiese e hotel di lusso a Colombo, Negombo e Batticaloa, che hanno causato finora 321 morti e 500 feriti. Scuole e uffici sono oggi chiusi per il lutto nazionale ma vige il coprifuoco dalle 8 di sera alle 4 del mattino. Le forze dell’ordine hanno già arrestato 40 persone legate a due gruppi islamisti locali – National Thawheed Jamaat e Jammiyathul Millathu Ibrahim – sospettate di aver avuto un ruolo negli attentati. Secondo il ministro della Difesa Ruwan Wijewardene gli attentati sarebbero stati compiuti “come ritorsione dopo quello di Christchurch”, la strage delle moschee dello scorso marzo in Nuova Zelanda.

«Le strade, gli edifici pubblici e le chiese sono costellate di bandiere e striscioni bianchi con le foto dei defunti, come si usa per il lutto – racconta al Sir Pedron, che vive tra Negombo e Chilaw, a nord di Colombo -. Il governo ha deciso di fare velocemente il post mortem perché negli ospedali di Negombo, dove sono morte più di 120 persone, non ci sono abbastanza frigoriferi per la conservazione dei cadaveri. Una metà delle vittime sono state sepolte ieri. Oggi è stato celebrato un funerale di 60 persone, nel pomeriggio di altre 20, e anche domani sono previste esequie».

I funerali «sono molto costosi, quindi le comunità cattoliche si stanno facendo carico delle spese per supportare le famiglie. Ma una volta che i riti saranno finiti le famiglie, spezzate o traumatizzate, resteranno da sole», ricorda Pedron.

Per questo la Caritas dello Sri Lanka, che finora ha distribuito un po’ di cibo, sta partecipando a riunioni “con il governo e i rappresentanti di altre religioni” e giovedì prossimo sarà ad un incontro insieme a cinque organizzazioni (tra cui l’università cattolica) «per organizzare il sostegno psicologico e il counseling alle famiglie delle vittime, ai testimoni o a chi è arrivato dopo per portare i soccorsi. Una volta fatta l’analisi dei bisogni si capirà come intervenire: la priorità sono ora le persone, poi si penserà alla ricostruzione delle chiese, per le quali verranno fatte raccolte fondi. Sicuramente arriveranno aiuti dall’estero». Tutta la comunità cattolica «è sotto choc», precisa Pedron, «ma nessuno degli operatori di Caritas Sri Lanka né le loro famiglie sono rimaste ferite».

La minoranza cattolica – solo il 9% della popolazione – «è sconvolta ma solida. Ci si rende conto della gravità del fatto ma non si capisce il perché. Tornano gli spettri della guerra civile terminata nel 2009, con tante ferite e sofferenze forse non sufficientemente elaborate e guarite».

«Ogni tanto a livello locale esplodono scintille tra comunità di diverse religioni, spesso alimentate da fake news che diffondono l’odio», racconta Pedron. Nell’Asia meridionale, prosegue, «i cristiani sono spesso un target abbastanza comune perché assimilati all’Occidente. La questione aperta è perché proprio nello Sri Lanka». A suo parere la situazione «in termini di sicurezza migliorerà” e “dopo gli arresti le forze dell’ordine riusciranno a bloccare le cellule estremiste».

Intanto ieri il card. Malcom Ranjith (Colombo), arcivescovo di Colombo, si è chiesto perché, «se c’era stato un preallarme sulla possibilità di questi attentati e l’intelligence ne era al corrente, non hanno impedito l’attacco»? «Perché il ministro non ha informato l’opinione pubblica? Non lo posso accettare».

Il cardinale, a nome di tutta tutta la Conferenza episcopale cattolica dello Sri Lanka, ha esortato i cattolici a non cercare vendette e ritorsioni. Dopo che tutti i funerali saranno celebrati, ha detto, «dobbiamo tornare alla normalità e riconciliarci tra noi. Se qualcuno ha commesso un errore deve essere punito solo dalla legge». Il cardinale ha chiesto «al governo e ai suoi leader di far rispettare la legge e rafforzare ulteriormente le unità di intelligence», perché non si ripetano episodi capaci di creare divisione nel Paese. Diversi leader religiosi, parlamentari e ministri hanno incontrato ieri il cardinale Ranjith per esprimere le loro condoglianze. Anche monsignor Warnakulasuriya Devsritha Valence Mendis, vescovo di Chilaw, ha condannato questi «atti di violenza inaudita»: «Quello commesso domenica è un crimine contro l’umanità. La nostra Pasqua si è trasformata da un giorno di festa ad uno di lutto. Ma sono certo che i nostri fedeli sapranno far fronte a tanto dolore con coraggio e fede».

Patrizia Caiffa per il Sir