Attacco Londra: la città torna a vivere. Il card. Nichols: “uniti nella preghiera”. May: non abbiamo paura

Il sindaco della capitale britannica ha indetto per oggi una veglia a Trafalgar Square. Le parole di sdegno e gli inviti alla preghiera dell’arcivescovo cattolico e del leader della Comunione anglicana. La premier Theresa May fa il punto sulle indagini alla House of Commons. Il Sir raccoglie le voci di una suora cattolica che lavora in arcivescovado e della segretaria della “London Islamic Cultural Society”

Bandiere a mezz’asta, un minuto di silenzio osservato negli uffici del governo di Whitehall, al parlamento di Westminster e a Scotland Yard. Londra il giorno dopo l’attacco terroristico del 22 marzo, nel quale sono morte quattro persone e ne sono state ferite altre quaranta, sette delle quali in condizioni critiche, è una città a lutto. Il sindaco Sadiq Khan ha organizzato una veglia per questa sera (23 marzo) alle 18, nella centralissima Trafalgar Square, alla quale sono stati invitati politici e cittadini e dove saranno presenti i rappresentanti delle diverse fedi religiose della capitale. Un modo per tenere insieme questa città, grande esperimento di convivenza multireligiosa e multietnica, dove in interi quartieri i “British” sono ormai la minoranza.

“Il mio primo pensiero va alle famiglie di coloro che hanno perso la vita. Prego per le vittime e per chi ora piange la loro perdita”.

Così il cardinale Vincent Nichols, presidente della Conferenza episcopale di Inghilterra e Galles, ha espresso il suo “shock” per l’attentato. “È importante – ha aggiunto il cardinale – che come società teniamo i nervi saldi, restiamo calmi, e lasciamo che la vicenda venga indagata così da conoscere esattamente cosa è accaduto”. In una nota diffusa questa mattina, l’arcivescovo invita quindi a “restare uniti nella preghiera”; a pregare per le vittime e per chi si è trovato coinvolto nell’attentato. “Tutti coloro che credono in Dio – afferma Nichols – faranno risuonare questa voce, perché la fede in Dio non è un problema da risolvere, ma un punto di forza e una base su cui poggiare”.
Anche l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, leader spirituale della Comunione anglicana, dà voce al dolore del Paese. Si dice “profondamente scioccato e addolorato per gli eventi a Westminster. Stiamo pregando per tutti coloro che sono stati colpiti e per chi sta rispondendo così coraggiosamente”.
Nel suo intervento alla Camera dei Comuni, la premier britannica Theresa May ha riferito questa mattina (23 marzo) dei fatti di ieri e delle indagini in corso sull’attentato a Westminster, con il rafforzamento della sicurezza nel Paese e diverse ispezioni in corso, che hanno portato a sette arresti per ora.

“Non abbiamo paura. La democrazia – ha dichiarato – non si farà intimidire dal terrorismo”, “i nostri valori prevarranno”.

May ha parlato di un attentato “contro tutte le persone”, e la “risposta migliore viene proprio” dai londinesi che questa mattina hanno ripreso la vita normale, hanno preso il treno o la metropolitana per andare al lavoro”. Quindi un commosso ricordo dell’agente ucciso, il 48enne Keith Palmer, delle altre vittime e dei feriti, provenienti da diversi Paesi.
Fra chi ha ripreso la vita di ogni giorno c’è anche suor Elizabeth O’Donohoe: abita a Shepherd’s Bush, ovest di Londra, e deve prendere la metro tutte le mattine per raggiungere gli uffici dell’arcivescovado cattolico di Westminster, vicinissimo al parlamento, dove c’è stato l’attacco e dove lavora. Questa mattina, riferisce al Sir, “avevo paura. La polizia ha detto chiaramente che è difficilissimo prevedere attacchi così rudimentali e ne temiamo altri in qualsiasi momento”, racconta,

“ma voglio continuare come ogni giorno. Lo spirito di Londra non sarà mai sconfitto. Amo questa città dove sono nata e cresciuta”.

“Oggi su Facebook – aggiunge la religiosa – ho messo una foto del Westminster Bridge, dove è avvenuto l’attacco terroristico, incoraggiando i miei concittadini a continuare a vivere con fede e amore per sconfiggere il male”.
“Londra ha sofferto un orribile attacco terroristico. Le nostre comunità, composte da membri di fedi diverse e provenienti da varie etnie, sono unite nella condanna di questo attentato”. A parlare è Bibi Khan, musulmana, segretaria della “London Islamic Cultural Society”, una charity che gestisce la moschea che c’è tra il numero 389 e il 395 di Wightman Road, Harringay, quartiere del nord della capitale. Impegnata nel dialogo interreligioso, la Khan lavora per costruire quelle comunità multirazziali che sono la forza della capitale britannica di oggi. Harringay conta circa 260mila abitanti e alcune delle zone più povere di tutta la Gran Bretagna. Qui i “British” sono il 18%, gli europei il 29% seguiti, per importanza, da africani, asiatici e varie nazionalità. “Noi musulmani, oggi, proviamo sdegno, indignazione e rabbia”, dice. “Le nostre preghiere più profonde sono con le vittime, le loro famiglie e coloro che sono stati feriti.

Questo attentato minaccia la pace e la libertà della nostra città ma non permetteremo ai terroristi di dividerci o sconfiggerci.

Le azioni di pochi pazzi estremisti mettono a rischio noi musulmani pacifici che facciamo una vita normale e amiamo la pace. Quando capitano imboscate di questo tipo, noi moderati diventiamo più vulnerabili e rischiamo di essere vittima di crimini scatenati dall’odio religioso”.