Bansky, mito della street art. Denuncia, con piglio ironico e sarcastico, i “mali” della società occidentale

Il mondo ha avuto sempre bisogno dei suoi eroi: dagli antichi paladini carolingi in cotta di maglia e armatura ai misteriosi uomini mascherati, armati di spade affilate durante le rivoluzioni europee sette-ottocentesche, fino ai più recenti e coloratissimi super-eroi della Marvel e DC Comics, con i loro costumi e i super poteri. In un mondo che cambia e si evolve alla velocità di un selfie, anche l’arte contemporanea si è adeguata a questa esigenza e, in qualche modo, gli addetti del settore hanno cercato un epigono mascherato capace di comunicare ancora emozioni in una sorta di alone misterioso che ne ha mitizzato la figura. E così lo star system del mondo del colore e della scultura ha trovato il suo mito moderno, che risponde un po’ a tutte le istanze comunicative dei nostri tempi. È Bansky, il misterioso e imprevedibile street artist di origine anglosassone (forse…). Della sua biografia si sa ben poco, la sua identità è pressoché sconosciuta e il luogo della sua nascita non è nella lontanissima e aliena Krypton, neppure nel mondo parallelo di Terra 2, né tantomeno nella funesta Gotham City, ma semplicemente nella pacifica ed educata Bristol; oltre la Manica, nel Regno Unito di Queen Elisabeth II, dove già ebbero i natali James Bond e il famigerato Anonymous.
Bansky, come tutti gli eroi fa la sua comparsa al mondo in modo del tutto particolare: quando Bristol si svegliò e i cittadini trovarono su un muro della mesta periferia un enorme “dipinto”, su cui campeggiava una sigla o una firma “BASKY”. Poi pian piano, di città in città, di nazione in nazione, di continente in continente, l’artista ha iniziato a tingere le periferie dei colori della street art. Londra, Barcellona, Napoli e la Cisgiordania sono solo alcuni dei luoghi dove le tristi e monocrome murature dei palazzi di periferia, da quell’aspetto spettrale di un bosco in cemento armato, hanno assunto la nuova veste di paesaggio banskyano.
Lo street hero, come ogni eroe che si rispetti, ha un’arma segreta: lo stencil, ovvero la tecnica per realizzare sulle pareti le sue opere di guerrilla art. Poi ha una missione, un ideale: rendere il mondo migliore. E così Bansky si preoccupa di denunciare, attraverso un piglio ironico e sarcastico, i ‘mali’ della società occidentale, dalla politica alla cultura, alla giustizia. È bene ricordare che le sue non sono immagini prive di significato, come nel lessico standardizzato di alcune espressioni murali dell’american graffiti, né tantomeno si chiudono a un’iconografica arcana e accessibile solo agli iniziati del mondo dei writers. Il suo universo è quello delle figure tipicizzate della cultura dei mass media, quella selva selvaggia dalle forme comuni, semplici e dirette. Cominciano a fare la loro comparsa Angeli di ozono, una Beata Ludovica Albertoni in estasi per un panino e le patatine, soggetto sacro tradotto in lingua “pop”, l’immagine fa sembrare genuini anche i sandwich di Claes Oldemburg. Resta celebre sulla Israeli West Bank Barrier, il murales che ritrae due piccoli e malconci bambini che aprono un foro nel muro, scorgendo in lontananza un illusorio paesaggio caraibico; altro che quel mattoncino che Roger Waters & company volevano mettere in un muro per abbatterlo.
L’identità di Bansky resta segreta, anche se in questi giorni sui bus romani compare un’immagine di uomo celato da un cappuccio. La soluzione per conoscere il suo volto ci sarebbe, occorre tornare lì dove tutto è cominciato, nella Great Britain, pare che a Londra, al 221B di Baker Street ci sia un eccellente detective.