Antonio “oltre” Francesco, padre Messa al Giugno antoniano

Antonio “oltre” Francesco. Per indicare che il francescanesimo non è un fissismo che nasce e si conclude con il suo fondatore, ma un fatto dinamico che, già vivente il santo di Assisi, si evolve, in lui stesso e nei suoi seguaci. Cominciando dal grande teologo giunto a infoltire le file dei minores dal Portogallo, dimettendo l’abito dei Chierici regolari agostiniani per abbracciare il semplice saio dei penitenti di Assisi: quel Fernando di Lisbona che diventerà il santo più venerato al mondo col nome di Antonio di Padova.

La riflessione proposta domenica sera nell’ambito del Giugno antoniano da padre Pietro Messa ha avuto il sapore di una chiacchierata in famiglia, pur nella densità di contenuti. Introdotta dal guardiano di Fonte Colombo padre Marino Porcelli in veste di presidente della Fondazione Amici del Cammino di Francesco, la relazione del suo confratello, docente all’Antonianum, ha voluto far cogliere la grandezza della figura dei due santi in una rilettura storica che non trascurasse il legame con l’attualità (come il problema del rapporto con l’islam, da sempre nel “dna” francescano tra incomprensione e spinta al dialogo: nello stesso anno in cui Francesco si incontra col sultano a Damietta ponendo le basi di un dialogo pacifico in tempo di crociate, i primi martiri francescani sono trucidati da musulmani in Marocco, episodio che fece affascinare il futuro sant’Antonio del carisma francescano spingendolo ad abbracciarlo), come pure il legame con il territorio (da ricordare che a Rieti avvenne il capitolo che, vivente ancora Francesco, elesse frate Elia alla guida dell’ordine serafico: e al di là della damnatio memoriæ che tale personaggio subì, il relatore ha voluto evidenziarne invece i molti tratti in comune che egli aveva con san Francesco) e i richiami particolari che vanno anche oltre i quattro santuari della Valle Santa (come già aveva fatto a Greccio, padre Pessa ha esortato a valorizzare, parlando dell’eredità francescana, la figura di san Giuseppe da Leonessa, morto ad Amatrice, in particolare per gli anni che egli trascorse a Costantinopoli: altro tema particolarmente attuale, per l’importanza della Turchia nello scacchiere geopolitico e per il problema del dialogo interreligioso e interculturale…).

Di Antonio, festeggiato in questi giorni con dovizia di devozione dai reatini, ha voluto mettere in evidenza il suo aver portato la dimensione della profondità culturale e teologica all’interno del mondo francescano rispettandone la caratteristica della semplicità. Il teologo e grande predicatore Antonio rappresenta la sintesi ideale del francescanesimo che, nella storia, si è dimostrato “vincente” quando ha saputo tenere in equilibrio “eremo” e “città”: gli aspetti strettamente spirituali e mistici con la presenza attiva in mezzo alla gente nella predicazione e nell’apostolato. Quando uno dei due aspetti ha prevalso sull’altro, il francescanesimo, nella storia, ha perso colpi, ha detto il professor Messa. E invece, poiché il francescanesimo non si ferma a Francesco ma, appunto, il Poverello d’Assisi ha un “oltre”, ha una posterità, Antonio e i tanti seguaci dei vari tempi ci aiutano a coglierne il carattere dinamico e capace di far parlare il Vangelo agli uomini dei vari tempi e spazi.