Antoniazzo Romano, splendono le opere reatine

Anche da Rieti tele in prestito alla mostra romana a Palazzo Barberini

Antoniazzo RomanoC’è anche un pezzetto di Rieti all’importante evento culturale che fino al 2 febbraio 2014 è ospitato a Roma, nelle sale al pianoterra di Palazzo Barberini: la mostra Antoniazzo Romano Pictor Urbis, curata da Stefano Petrocchi e Anna Cavallaio, che propone un cospicuo corpus dell’artista che più di ogni altro interpreta il gusto e l’eccellenza della pittura romana del XV secolo, destinata ad influenzare la cultura figurativa dell’Italia mediana grazie al diretto intervento del Maestro o attraverso la capillare rete della bottega antoniazzesca di cui fu degno rappresentante il figlio Marcantonio. Le pale d’altare, le tele, gli affreschi dai caratteristici, preziosi fondali dorati pervenute dai Musei Vaticani, da Capodimonte, dal Museo del Bargello, dal Museo Poldi Pezzoli, dai Musei Civici di Montefalco e Rieti sono affiancate da numerose opere di contesto, utili a comprendere meglio la cifra distintiva dell’arte di Antonio di Benedetto Aquili nel quadro della produzione artistica del suo tempo, corroborate da una serie di fonti documentarie – contratti, libri confraternali, atti privati come le lettere autografe, il testamento, l’inventario dell’eredità – date in prestito dall’Archivio di Stato di Roma.

Tra le opere in mostra, spicca per raffinatezza la Madonna del latte proveniente dalla chiesa dell’Osservanza Francescana di Sant’Antonio del Monte, vanto del Museo Civico di Rieti che ha concesso il prestito. La preziosa pala d’altare, commissionata da Angelo Cappellari nell’ultimo quarto del XV secolo, fu parte integrante del lascito che consentì la dotazione del complesso conventuale, come risulta dalle fonti d’archivio riportate dal dotto canonico Carlo Latini nelle sue Memorie per la compilazione della storia di Rieti: «il Convento di S. Antonio del Monte non fu fondato prima dell’anno 1479, e fù fondato co’ beni, che a tal fine lasciò il Novizio frat’Angelo Cappellari, come risulta dal suo Testamento rogato per gli Atti di Ser Benedetto di Sante di Cola Notajo Reatino a’ 27 ottobre 1473». Alla stupenda icona mariana che impreziosiva la chiesa del convento sopra il Borgo cittadino si aggiungono, tra i prestiti inviati da Rieti a Palazzo Barberini, le pale laterali in cui sono raffigurati san Francesco e sant’Antonio di Padova con i loro emblemi parlanti e la tavola della Resurrezione di Marcantonio di Antoniazzo, un tempo collocata presso la chiesa delle clarisse di Santa Chiara.

Antoniazzo e Marcantonio Aquili realizzarono per le chiese reatine importanti cicli pittorici, di cui restano tracce salienti in cattedrale con il Miracolo della campana dipinto nel portico settentrionale in memoria di un episodio di cronaca e con la Madonna in maestà parzialmente restituita dalla parete di fondo della cappella di Sant’Ignazio. Un ultimo, sottile legame è teso fra il convento di Sant’Antonio e il Monte di Pietà, fondato da fra Bernardino da Feltre sul finire del XV secolo: fu infatti Marcantonio di Antoniazzo ad affrescare la facciata del modesto edificio addossato al palazzo del Podestà, lo stesso che dopo il 1564 sarebbe stato riadattato da Jacopo Barozzi da Vignola per ospitare il Seminario Diocesano. L’artista vi raffigurò nel 1494, nell’anno stesso della morte del suo fondatore, l’Imago Pietatis, il Christus patiens affiancato da fra Bernardino da Feltre san Paolo Apostolo, accanto al quale è un angelo raffinatissimo che con una mano sorregge un drappo e tende nell’altra una fiaccola, a illuminare la via dell’umanità sofferente e dispersa. Il sole raggiante con il monogramma di Cristo salvatore dell’umanità, simbolo dell’Osservanza portato come vessillo nelle piazze d’Italia da san Bernardino da Siena, è scolpito sull’architrave delle tante case costruite nei sestieri urbani grazie all’aiuto finanziario erogato dal Monte di Pietà.

La bella mostra romana dedicata ad Antoniazzo e ai suoi epigoni è dunque l’occasione per conoscere più da vicino uno dei protagonisti della storia dell’arte del Quattrocento che ha lasciato tracce sensibili nel nostro territorio. E le opere reatine, per qualche mese in trasferta dal museo a Palazzo di città che normalmente le custodisce (museo in cui diverse sono le opere di arte sacra provenienti dalle nostre chiese), rappresentano degnamente il contributo dell’artista al patrimonio religioso locale.

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