Anno dell’Eucaristia. Omelia del Vescovo dalla celebrazione di apertura

Video integrale dell’omelia di mons. Delio Lucarelli, vescovo di Rieti, in occasione dell’apertura dell’Anno Eucaristico Diocesano.

Carissimi fratelli e sorelle,

con la festa odierna del Battesimo del Signore inizia il tempo ordinario; anche se solo da poche ore è terminato il tempo di Natale, la distanza tra le due feste quanto alla cronologia della vita di Gesù è di circa trenta anni, ma quella teologica non è poi così ampia visto che con l’Epifania abbiamo avuto la manifestazione alle genti e soprattutto ai sapienti e con il Battesimo l’investitura di Gesù da parte del Padre e un’ulteriore manifestazione per tutti, nello stile delle teofanie: questi è il mio Figlio in cui mi sono compiaciuto.

Nel Battesimo al Giordano, Gesù ha dato l’esempio a tutti coloro che vogliono porsi in ascolto della voce che squarcia i cieli e chiama alla sequela e alla pratica del Vangelo:

Egli non ha bisogno di sottoporsi ad un lavacro di purificazione, poiché senza peccato, ma vuole anche confermare la predicazione e la preparazione al suo ministero da parte di Giovanni Battista, quella voce che abbiamo sentito risuonare severa e pungente per tutto il tempo di Avvento.

Il Battesimo di Giovanni era un Battesimo di conversione e di penitenza, che prefigurava il Sacramento del Battesimo con il quale noi cristiani entriamo a far parte della famiglia di Dio, che è la Chiesa, ed è anche il Sacramento che ci libera dal peccato originale.

Proprio all’inizio del nuovo anno civile la liturgia ci invita alla moderazione, alla semplicità, se vogliamo anche alla mortificazione, mentre il mondo che ci circonda ci ha spinto ai consumi e alla spensieratezza, la liturgia da sempre e ben prima dei vènti di crisi, ci richiama all’austerità tipica della vita cristiana e anche di molte altre esperienze religiose.

Oggi siamo tutti convocati in questa Cattedrale per dare inizio all’anno eucaristico che è stato annunciato nelle chiese della diocesi nelle Messe di Natale.

In questa riflessione che desidero fare con voi vorrei impostare un confronto tra queste due realtà: quella connessa al Battesimo e quella relativa all’Eucaristia, entrambe originanti dal mistero di Gesù, Uomo e Dio.

Nel racconto del Battesimo la voce che irrompe dai cieli qualifica Gesù come il Figlio prediletto in cui Dio stesso pone la sua compiacenza e Giovanni indica Gesù come l’Agnello che toglie il peccato dal mondo: non sembri scontato vedere in ciò una convergenza nella quale ci siamo imbattuti tutti nel momento in cui abbiamo confermato la nostra scelta di fede.

Sentiamo sempre una voce che squarcia la nostra coscienza e ci interpella a scegliere, come pure l’invito di coloro che stimiamo e che testimoniano la loro fede ci spinge ad avventurarci nella vita cristiana, a scommettere su Gesù.

Nella predicazione di Giovanni, Gesù viene indicato come l’Agnello di Dio, espressione che anche noi, ancora oggi, facciamo nostra in ogni Messa prima di accostarci alla comunione: “Beati gli invitati, ecco l’Agnello che toglie i peccati del mondo”, e poi acclamiamo, per tre volte: “Agnello di Dio che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi; e infine, dona a noi la pace”.

Mi sembra che il nesso che possiamo trovare tra la festività odierna e l’Eucaristia possa essere rinvenuto proprio in questo punto, che proviamo ad analizzare.

Giovanni si trovava a predicare il ritorno a Dio nella penitenza e nella conversione; il suo non era un annuncio originale, era originale il modo, ma il mondo ebraico, allora come oggi, celebrava il giorno del Kippur, in cui il sommo sacerdote radunava il popolo che confessava i propri peccati e imponeva le mani su un capro che veniva poi cacciato nel deserto in quanto su di esso si riteneva fossero stati trasferiti i peccati di tutti: da qui l’espressione entrata nel linguaggio comune di “capro espiatorio” riferito a chi si carica delle colpe altrui o che gli altri caricano di pesi non suoi.

In questo filone culturale e religioso dobbiamo inquadrare la predicazione di Giovanni e la qualifica che attribuisce a Gesù di Agnello di Dio, che toglie i peccati perché li prende su di sé.

In questo senso noi possiamo considerare l’Eucaristia come uno dei Sacramenti della remissione dei peccati. Gesù è Agnello soprattutto perché viene a sostituire in modo definitivo il sacrificio del Tempio in cui veniva immolato l’agnello in ricordo dell’Esodo, cioè della liberazione.

Nella festa del Battesimo del Signore noi abbiamo sia l’investitura divina, che il riconoscimento per dire così, del Battista, ma nella immersione nel Giordano abbiamo il totale coinvolgimento di Gesù con la vicenda umana; la sua immersione nella storia dell’uomo; anzi l’immersione di Dio stesso nella vicenda umana. Questa è una delle più intense novità del cristianesimo.

Questa festa, all’inizio del nuovo anno civile, si pone anche come memoria del nostro Battesimo e come l’irruzione del mistero di Dio nella nostra vita, l’intreccio della vita divina con quella umana.

Il senso dell’anno eucaristico che inauguriamo vuole essere quello di riscoprire il gusto di questo intreccio, la piena e giusta congiunzione della sfera umana con quella religiosa, senza separazioni e dicotomie; rendere coerente la vita vissuta con quella celebrata, in continuità, senza fratture.

Nell’Annuncio dato a Natale nelle nostre chiese vi è un collegamento tra questo anno eucaristico e il prossimo che sarà dedicato alla fede, che sarà a carattere universale perché voluto dal Santo Padre per tutta la Chiesa; con questa tappa diocesana noi vogliamo continuare intanto il nostro percorso di riscoperta della fede e dunque dei Sacramenti, sia nel loro valore strettamente religioso che umano e antropologico.

Dobbiamo trovare modi nuovi di annuncio della fede, cercando di conservare quanto di buono già facciamo, ma sperimentando anche vie nuove o riscoprendo iniziative valide che poi sono state abbandonate; è necessario un nuovo fervore nelle nostre parrocchie e comunità, soprattutto cogliendo quegli interrogativi che interpellano la nostra gente e soprattutto i nostri giovani.

Invito i sacerdoti a programmare, nel corso di questo anno, cicli di catechesi anche brevi, a ripristinare le adorazioni eucaristiche anche serali, in cui si dia spazio al silenzio e alla meditazione, ad attivare finalmente le caritas parrocchiali o almeno vicariali per un primo aiuto alle persone più bisognose.

Potrebbe sembrare una risposta inadeguata ai problemi della nostra società e della nostra Chiesa, ma invece è la prima risposta che dobbiamo dare per i problemi di ordine sociale ed ecclesiale.

Abbiamo potuto notare che in molti vedono la soluzione alla attuale crisi economica semplicemente in scelte di tipo finanziario e privilegiando l’aspetto puramente materiale, eliminando la cura spirituale e morale, non rendendosi conto che la causa prima della crisi sta proprio in un nuovo materialismo non ideologico, ma non meno dannoso, che ha relegato lo spirito tra ciò che è inutile.

La grande malattia da curare ai nostri giorni, più che l’ateismo, è l’indifferenza; Bernanos, scrittore francese, in un suo romanzo giovanile (L’impostura) parlava di un parroco divenuto “ateo” e spiegava questo più che con l’assenza di Dio, con il vuoto che il sacerdote aveva dentro di sé.

Un altro personaggio, John Lennon, soleva ripetere: “La vita si svolge sotto i nostri occhi, ma spesso siamo purtroppo occupati a guardare altrove, nel vuoto”.

E questo vuoto è proprio la malattia da curare.

A livello ecclesiale, invece, sembra che alcuni non si lascino sfuggire le occasioni per attaccare le scelte della diocesi pensando di avere l’unica ricetta per annunciare il Vangelo o per fare una buona attività pastorale.

In realtà le cose stanno diversamente e anche qui la vera causa della crisi nell’attività pastorale sta nell’aver ritenuto sorpassate alcune modalità di annuncio e nell’averle abbandonate confidando unicamente nel nuovo. Noi dobbiamo sperimentare il nuovo senza abbandonare il vecchio. Soprattutto non dobbiamo abbandonare le varie forme di preghiera di cui è ricca la tradizione ecclesiale cristiana e le varie forme di carità.

I fedeli sono disposti a seguire il sacerdote e la parrocchia se si prendono significative iniziative in ordine alla carità, alla formazione e alla preghiera. Dobbiamo ripartire da qui.

Sono certo che potremo raccogliere frutti abbondanti se sapremo renderci disponibili a vivere la comunione ecclesiale con umiltà e con semplicità, accogliendo Gesù come Figlio prediletto in cui Dio ha posto la sua compiacenza.

One thought on “Anno dell’Eucaristia. Omelia del Vescovo dalla celebrazione di apertura”

  1. maria laura petrongari

    In casa abbiamo letto il messaggio del vescovo per l’apertura dell’anno eucaristico nella celebrazione in cui molti non sono potuti andare per via del varco attivo.E’ vero e assolutamente condivisibile il richiamo ad un più sano consumismo. Tale concetto potrebbe essere meglio capito oggi alla luce del recente disastroso evento del naufragio dei passeggeri sulla nave all’isola del Giglio.Dico che a fronte del bisogno imprenditoriale di incassi ed utili sempre più alti, potrebbe verificarsi che i servizi offerti a basso costo a clienti non miliardari ma desiderosi di fare esperienze di lusso e divertimento di alta portata, potrebbero essere di bassa qualità. Pensiamo al servizio di messa in sicurezza delle persone, alla prevenzione ecc.ecc.Comunque occorre riscoprire il gusto delle cose semplici, essenziali e dei valori umani.Il silenzio, la meditazione e con essi il bisogno di tante persone di potersi raccogliere in orari accessibili nelle Chiese per la adorazione eucaristica sono bisogni crescenti che sarebbe bello poter diffusamente incoraggiare ed esaudire.La preghiera è un valore essenziale del nostro tempo quotidiano perchè ci consente di pensare che noi non siamo Dio in terra e che se ci siamo è solo per un dono divino e per l’amore di chi ci ha generato.
    Maria Laura petrongari

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