Agromafie: in un anno il giro d’affari sporchi e criminali è cresciuto del 30%

In numeri assoluti vuol dire circa 21,8 miliardi di euro. I conti li ha fatti il Rapporto 2017 sulle agromafie, il quinto della serie, uno studio promosso da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e nel sistema agroalimentare

Le mafie allungano sempre di più le mani sul settore agroalimentare. In un anno il loro giro d’affari – affari sporchi e criminali, beninteso – è cresciuto del 30%. In numeri assoluti vuol dire circa 21,8 miliardi di euro. I conti li ha fatti il Rapporto 2017 sulle agromafie, il quinto della serie, uno studio promosso da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e nel sistema agroalimentare. Il paradosso è che questa tendenza allarmante è allo stesso tempo un segnale della buona salute del settore, sempre più strategico nell’economia italiana, con un’incidenza sul prodotto interno lordo nazionale pari ad almeno il 13,9%, indotto compreso. E sì perché le mafie vanno dove si produce ricchezza, con una capacità di mimetizzarsi e di rendersi invisibile che hanno fatto parlare di “mafia silente”. Questo avviene soprattutto quando la criminalità si allontana dai propri luoghi d’origine. Nelle regioni del nord, per esempio. “Invece di limitarsi a taglieggiare gli operatori economici – spiega Gian Maria Fara, il presidente dell’Eurispes – si diventa soci o addirittura si rileva completamente l’attività”.
Nasce così una sorta di economia parallela. “Sul fronte della filiera agroalimentare – spiega la Coldiretti – le mafie, dopo aver ceduto in appalto ai manovali l’onere di organizzare e gestire il caporalato e le altre forme di sfruttamento, condizionano il mercato stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo sfruttamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del vero o falso made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding (prodotti dal nome che suona italiano, ma che italiani non sono) e delle reti di smercio al minuto”.
Questo complesso di attività illecite è socialmente pericolosissimo non solo per i reati che vengono commessi nel suo svolgimento e per gli introiti che assicura alla criminalità organizzata, ma perché rappresenta in quanto tale uno stravolgimento della concorrenza che danneggia in modo devastante gli operatori economici onesti, moltiplica a dismisura i prezzi e spesso mette a repentaglio la salute dei cittadini come consumatori finali delle produzioni illegali. Per non parlare di un filone solo apparentemente collaterale che è quello dell’importazione dall’estero di prodotti che sono frutto di sfruttamento e talvolta di vere e proprie forme di schiavitù: un prodotto su cinque, rileva il Rapporto, proviene da situazioni che nel nostro Paese sarebbero considerate illegali. Ma qui entrano in campo anche le grandi multinazionali e gli accordi commerciali tra gli stessi Stati.
La mappa delle agromafie vede prevedibilmente in primo piano le regioni meridionali. Tra le dieci province in cui la criminalità di questo tipo risulta più attiva, due sono in Calabria (Reggio – la prima in assoluto – e Catanzaro), tre in Sicilia (Palermo, Caltanissetta e Catania), due in Campania (Napoli e Caserta), una in Puglia (Bari). Ma siccome dove c’è ricchezza c’è mafia, anche le regioni del nord sono tutt’altro che immuni. Un dato spicca su tutti: per quel particolare e redditizio filone delle agromafie che è il business del falso made in Italy, dopo Reggio Calabria sono Genova e Verona le città più investite dal fenomeno. Nel caso del capoluogo ligure al centro dei traffici c’è la filiera dell’olio, con materiali esteri di bassa qualità spacciati per italiani, mentre a Verona la contraffazione riguarda i prodotti alcolici e l’importazione di suini dal nord Europa.
Parlare di agromafie in generale non vuol dire che le diverse cosche non abbiano poi le loro specializzazioni. La ‘ndrangheta, per esempio, si occupa del commercio della carne e, con il clan Piromalli,  del settore ortofrutticolo; nella mafia siciliana gli uomini di Matteo Messina Denaro puntano soprattutto sull’olio extra vergine di oliva e quelli di Totò Riina sul mercato dell’ortofrutta; in Campania i casalesi imperversano nel settore delle mozzarelle di bufala.
Eppure, con oltre 200mila controlli nel 2016, l’Italia è un Paese leader nel campo della qualità e della sicurezza alimentare. Ma il fenomeno delle agromafie è così in crescita che “senza un adeguato apparato di regole penali e di strumenti in grado di rafforzare l’apparato investigativo – sostiene Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti – l’enorme sforzo messo a punto dalla macchina dei controlli apparirà sempre insufficiente”.
Un’apposita commissione istituita presso il ministero della Giustizia e presieduta da un ex-magistrato del calibro di Gian Carlo Caselli, ha già elaborato da mesi una proposta per la riforma dei reati agro-alimentari. Moncalvo chiede che sia portata “al più presto” all’esame del Parlamento, valutando anche l’ipotesi di ricorrere a un decreto-legge.