Cinema

Addio a Sean Connery, aveva 90 anni

Sean Connery, leggendario attore scozzese che fu il più celebre volto cinematografico di James Bond nella saga 007, è morto all'età di 90 anni. Ne dà notizia la Bbc

Sean Connery ci ha lasciati, e per qualcuno sarà una ragione in più per odiare questo orribile 2020. Aveva 90 anni, da tempo viveva a Le Bahamas e non era immortale, come ci aveva fatto credere nei due Highlander interpretati nel 1986 e nel 1991. È diventato però una grande icona del cinema mondiale, soprattutto grazie al personaggio di James Bond che ha interpretato per ben sette volte, a cominciare da Licenza di uccidere di Terence Young (1962), per finire con l’apocrifo Mai dire mai di Irvin Kershner (1983), passando per Dalla Russia con amore (1963), Missione Goldfinger (1964), Thunderball: operazione tuono (1965), Si vive solo due volte (1967),Una cascata di diamanti (1971).

E pensare che Connery non assomigliava a nessuno degli attori che Fleming immaginava nei panni del suo agente: Hoagy Carmichel, Noel Coward, Cary Grant, David Niven.

Nato il 25 agosto 1930 in un sobborgo di Edimburgo, in Scozia, da un’umile famiglia, Connery (Thomas, all’anagrafe) ha imparato a fare subito di necessità virtù. Parlando della sua infanzia ricordava spesso che a nove anni, durante la guerra, consegnava latte a domicilio e a tredici aveva già lasciato la scuola. Ha poi fatto l’operaio, il bagnino, ha lucidato bare in una impresa di pompe funebri e a sedici anni si è arruolato in Marina mentre leggeva Shakespeare, Wolfe, Proust e decideva di farsi chiamare Séan. Qualche anno dopo è entrato come tuttofare al King’s Theatre di Edimburgo e si gonfiava i muscoli in palestra facendo body building. Il concorso di Mr. Universo a Londra cambierà infatti per sempre il suo destino in un momento in cui anche il calcio sembrava una carriera possibile. Nella sua vita, lo diceva spesso, ha sempre applicato il motto: «Fai quel che puoi con quel che hai a disposizione».

Prima della celebre saga dedicata da Ian Fleming all’Agente 007, si era fatto notare in Il terrore corre sul fiume. Poi molti registi lo hanno voluto in panni regali, come in Macbeth (1961), L’uomo che volle farsi re di John Huston (1975) Banditi del tempo di Terry Gilliam dove interpreta re Agamennone (1981), Robin Hood – Principe dei ladri di Kevin Reynolds dove appare nei panni di Re Riccardo (ma nel 1976 era stato il fuorilegge dal cuore d’oro in Robin e Marian, al fianco di Audrey Hepburn),Il primo cavaliere dove incarna Re Artù. «La ragione di tanti sovrani al cinema – diceva – è che ho spesso interpretato questi personaggi a teatro». E un Macbeth avrebbe voluto dirigerlo lui stesso per il grande schermo, la sceneggiatura l’aveva già scritta. Divenuto anche simbolo della indipendenza scozzese, Connery ha vestito con la stessa disinvoltura smoking e saio, corona e gonnellino di tartan. ​

Alfred Hitchcock lo ha voluto al fianco di Tippi Hedren in Marnie (1964), poi sono arrivati La tenda rossa (1969), I cospiratori (1970), Rapina record a New York (1971) e due film di Sidney Lumet, Riflessi in uno specchio scuro (1973) e Assassinio sull’Orient Express (1974). A ridare poi slancio a una carriera che scorreva su binari solidi ma senza scintille, ci ha pensato quello che diventerà uno dei suoi film più amati, Il nome della rosa di Jean-Jacques Annaud, che gli affidò il ruolo di Guiglielmo da Baskerville a partire dal celebre romanzo di Umberto Eco, che l’attore ebbe il piacere di incontrare. Un grandissimo successo seguito da un Oscar come miglior attore non protagonista per Gli intoccabili di Brian De Palma dove interpreta lo straordinario Jim Malone, scannato dagli uomini di Al Capone.

In ruoli sempre più avventurosi è stato poi il padre di Harrison Ford in Indiana Jones e l’ultima crociata di Steven Spielberg (1989) e protagonista di grandi successi al botteghino come Mato Grosso (1992), Sol levante (1993), Alla ricerca dello stregone (1994), La giusta causa (1995), The Avengers – Agenti speciali (1998), Entrapment (1999), Scoprendo Forrester di Gus Van Sant (2000) e La leggenda degli uomini straordinari (2003), che ha segnato la sua ultima e travagliata apparizione sul grande schermo, compensata da ben 17 milioni di dollari.

Nel 2006 aveva annunciato il suo ritiro dalle scene, lasciando intendere però che avrebbe potuto fare un’eccezione per Spielberg e il suo quarto capitolo di Indiana Jones. La sua unica opera da regista è stato il documentario The Bowler and the Bunnet (1967), sulla crisi dei cantieri navali di Fairfield’s Shipyard du Clyde, in Scozia, e sui tentativi di fronteggiarla attraverso una diversa organizzazione del lavoro e innovative strutture produttive.

da avvenire.it